Sento spesso ripetere che il non giudizio sarebbe una pratica new age. E che il giudizio è un annichilimento, un annullamento del senso critico, ecc.
Bisogna quindi fare un po’ di chiarezza.
In primo luogo: tutti tendiamo a giudicare. Quindi il problema non è il giudizio in sé, ma l’uso che noi facciamo di tale giudizio.
In secondo luogo: ciò che rende l’affermazione un giudizio non è la correttezza o meno di esso, ma la carica emotiva che ci mettiamo. Quando la carica emotiva è alta, vuol dire che il giudizio rispecchia una parte di noi stessi sepolta nell’inconscio, e che l’altra persona ci permette di portare alla luce.
In terzo luogo: il non giudizio non è un annichilimento o la sospensione della nostra facoltà di critica, ma è il primo passo per la comprensione dei fenomeni, mentre il giudizio costituisce un ostacolo a questa comprensione.
Il giudizio è una barriera che mettiamo tra noi e il fenomeno osservato, e che ci impedisce di andare oltre. Se una cosa o una persona saranno etichettati come “giusto, sbagliato, cattivo, stronzo, immorale, ecc.” ci verrà preclusa una visione più ampia. Non andremo oltre, perché quella cosa è “sbagliata” o “brutta” o “immorale”.
I giudizi tra l’altro sono il frutto non di una nostra personale convinzione, come crediamo, ma di ciò che abbiamo appreso durante i nostri anni di vita (in genere frutto di nozioni immesse nel nostro cervello da altri); in altre parole sono il frutto delle nostre esperienze (necessariamente soggettive) e di ciò che abbiamo studiato (su libri scritti da altri, e quindi non frutto di una nostra elaborazione) e di ciò che ci hanno insegnato persone che molto raramente erano così illuminate da averci insegnato la perfezione.
Evitare di giudicare non è quindi annullare il senso critico, ma sviluppare una capacità più ampia, che è quella della comprensione, nella consapevolezza che il nostro “senso critico” è un’illusione che la nostra mente ha messo come barriera; ed è un’illusione creata tra l’altro con parametri non nostri.
Il giudizio, cioè, dovrebbe essere evitato, perché è solo una nostra proiezione. E non riflette mai l’altro, ma solo noi stessi.
In particolare, i giudizi negativi esprimono semplicemente una parte della nostra personalità, che è stata toccata profondamente dall’altro e che è sepolta nel nostro inconscio.
Inoltre il giudizio sugli altri porta inevitabilmente al giudizio su noi stessi. Se abbiamo etichettato come sbagliata una certa cosa, nel momento in cui cambieremo idea ci sentiremo in colpa, avremo delle resistenze, negheremo agli altri e a noi stessi il cambiamento che sta avvenendo.
Il giudizio su noi stessi, poi, ci porta inevitabilmente a sentirci in colpa, fuori posto, sbagliati, e rallenta la comprensione dei meccanismi che ci hanno portato ad avere quel comportamento. Invece di interrogarci sul perché è nato un nostro atteggiamento, per sondarne le radici profonde ed estirpare ciò che ci rende infelici, nella consapevolezza che non siamo giusti o sbagliati, ma semplicemente siamo il frutto delle esperienze che abbiamo avuto fin da piccoli, ci diamo etichette (sono fatto così, sono fatto cosà) impedendoci il cambiamento.
Va da sé che anche giudicare chi giudica è un giudizio e puntare il dito contro chi giudica è un controsenso. Un controsenso pari a quelle persone che, reputandosi molto tolleranti, non sopportano gli intolleranti. La verità è che tutti noi giudichiamo. La differenza la fa il nostro atteggiamento nei confronti del giudizio.
Quando siamo consapevoli della dinamica del fenomeno, prenderemo il nostro eventuale giudizio come un’occasione per analizzare noi stessi; quando non ne siamo consapevoli, la useremo come strumento per analizzare gli altri.
Tutto questo lo possiamo verificare semplicemente soffermandoci a riflettere e ad analizzare i giudizi che, nella vita, gli altri hanno dato di noi. Passateli in rassegna, e vedrete che tali giudizi sono stati il più delle volte sbagliati, semplicemente perché ciascuno ha proiettato sul nostro comportamento semplicemente se stesso.