1. Premessa.
2. Io, Mariapaola e la Rosa Rossa.
3. Comunicare col silenzio.
4. Lasciar andare il controllo.
5. L’altro come specchio di noi stessi
6. Lasciar andare la paura.
7. La Rossa e il mio destino
8. Sincronicità e destino.
9. Il destino come scelta
1. Premessa.
Qualche giorno fa ho pubblicato la storia di Mariapaola, e il sole dietro al sole https://petalidiloto.com/2022/10/mariapaola-la-rosa-rossa-e-il-nostro-destino/
Una lettrice ha replicato che si, la vita è un gioco, ma è facile parlare quando va tutto bene, ma come si fa a dire che è un gioco quando una persona sta in sedia a rotelle o di fronte all’orrore dei bambini abusati e uccisi?
A parte il fatto che nella storia tra me e Mariapaola, apparentemente romantica e poetica, c’era il non trascurabile elemento del tumore di cui è morta, quindi non andava affatto tutto bene, e il commento dimostrava solo la cecità della lettrice nel leggere lo scritto, interpretato e letto in modo del tutto parziale.
Voglio raccontare allora anche l’orrore che abbiamo attraversato insieme in tutti gli anni del nostro rapporto. Non quindi la bellezza e la poesia, ma gli orrori e le difficoltà della mia storia con Mariapaola, con tutto quello che mi hanno insegnato questo orrori (e questi errori).
2. Io, Mariapaola e la Rosa Rossa
Conobbi Mariapaola nell’ottobre del 1999. Io avevo 33 anni, lei 27. Pochi anni prima lo zio era stato ucciso con un coltello nel petto, che gli aveva trapassato la schiena. Il figlio Marcello, cugino di Mariapaola, era in casa al momento del delitto e fu fortemente sospettato del fatto, ma le prove della sua innocenza erano evidenti, dato che non aveva macchie di sangue su di sé. La vicenda si chiuse facendola passare per un suicidio.
Mariapaola, che abitava a poche centinaia di metri da lì, fu la prima ad arrivare sul luogo del delitto, trovando il cugino in stato di shock e lo zio in un lago di sangue.
Quando ci conoscemmo non mi disse nulla di questa storia. E non me ne parlò mai, fino a che non si ammalò di tumore nel 2013.
Nel periodo in cui aveva il tumore, un giorno mi porse un biglietto, c’era la data di morte dello zio, il nome, e altri dati, e mi disse “mio zio morì con un coltello nel petto. Voglio solo sapere se questa cosa potrebbe rientrare nel tipo di casi di cui ti occupi tu. Voglio solo un si, o un no. Poi non voglio parlarne più e non devi accennarne con la mia famiglia”.
Risposi di si, e la cosa si chiuse li.
Fu solo dopo il suo funerale che, conobbi Marcello e venni a sapere altri particolari della morte dello zio (come il fatto che qualcuno pulì immediatamente il sangue dalla scena del delitto ma non si seppe mai chi era stato; se non ricordo male il funerale venne fatto di domenica e il medico legale si scomodò in un giorno festivo per accertare le cause del decesso, e altri particolari ulteriori che mi fecero capire il contesto in cui era maturato il delitto). Marcello lavorava in un autogrill, sulla A1, quindi capii perché ogni volta che passavamo lì, nei nostri viaggi lei non voleva mai fermarsi; un giorno che fui costretto a fermarmi per forza a causa di un guasto lei non volle scendere e tremò per tutto il tempo.
Fin da quando la conobbi, Mariapaola aveva dei comportamenti anomali. Non aveva coltelli in casa, e quando veniva a casa mia, se mi vedeva con un coltello in mano tremava e mi pregava di nasconderlo. Molte notti sognava laghi di sangue. Non mi parlava mai del cugino, nonostante io sapessi che erano molto legati, e se chiedevo di parlarmi di lui si chiudeva in un silenzio per me incomprensibile. Io la ritenevo una delle tante stranezze di una persona che aveva comunque una sua personalità completamente originale e fuori da ogni schema, e non lo ritenni un particolare importante. Del resto, ero molto più impegnato, e mi dava del filo da torcere, coi suoi comportamenti bizzarri; mi lasciò infatti diverse volte, ogni volta per un motivo diverso e sempre più originale. Ad esempio una volta mi lasciò perché, disse “sono troppo dipendente da te; sei in ogni mio pensiero e in ogni mio gesto, e sei sempre accanto a me”. Alla mia replica se non fosse meglio lavorare sulla dipendenza anziché lasciarmi, visto che non le imponevo nulla, rispose che sarebbe andata in psicoterapia e poi mi avrebbe fatto sapere.
Molti nostri amici non capirono mai il nostro rapporto, perché era difficile spiegare che si, aveva un carattere ingestibile, ma ogni volta che parlava mi apriva dei mondi di comprensione su di me, perché ad una veggente non puoi mentire (non solo a lei, ma neanche a te stesso) e perché aveva altre doti straordinarie. Il mio miglior amico dell’epoca, Daniele un giorno mi disse “Mariapaola è assolutamente affascinante, oltre che simpatica e intelligente, ma mi legge la mente, e a me questa cosa dà fastidio”. A me, invece, non preoccupa che mi leggano la mente, anzi, lo trovo un dono, che facilita la comprensione e la comunicazione. Inoltre con lei capivo meglio il mondo e le persone, perché aveva due doni: quello di inquadrare correttamente una persona dopo pochi secondi che l’aveva incontrata, dicendo sempre la cosa giusta, e quello di farmi vedere le cose da una prospettiva diversa dalla mia, colorata e poetica, spesso ribaltandomi i punti di vista che avevo su cose o situazioni.
3. Comunicare col silenzio.
Un giorno a cena mi disse: non voglio parlare di altre persone perché noi parliamo solo delle nostra idea di quelle persone, non di loro, e in realtà chi parla degli altri parla di se stesso; di me non voglio parlare perché non ti migliora la vita se ti butto addosso i miei problemi; e non voglio che mi parli te, perché se mi parli di cose troppo forti non riesco a gestirle emotivamente. Allora le chiesi provocatoriamente di cosa voleva parlare; ero pronto tra l’altro a chiudere li quella cena e andarmene, se mi avesse risposto “di cose futili”. Ma lei inaspettatamente mi rispose “di nulla, si può comunicare anche col silenzio. Io sento quello che provi e pure tu puoi farlo”.
E infatti, imparammo a comunicare anche nel silenzio e fu uno dei primi insegnamenti che mi dette.
Il giorno in cui conobbi la Carlizzi, mi disse che mi avrebbero arrestato o ucciso. Poco dopo che lei mi predisse questa cosa il PM Mignini mi convocò a Perugia e questa coincidenza mi rese credibile la sua profezia, quindi tornai da quell’incontro terrorizzato. Telefonai a Mariapaola e glielo dissi. Mariapaola, terrorizzata a sua volta, mi disse di non cercarla mai più. E io così feci. Vissi i successivi 3 mesi in una sorta di terrore, in cui mi aspettavo la morte da un giorno all’altro (anche perché nel frattempo mi avevano sabotato la moto per tre volte, quindi il rischio concreto che prima o poi qualche altro tentativo andasse a segno c’era).
Un giorno di primavera, verso la fine di marzo, dissi a me stesso che se ero vissuto altri tre mesi, forse sarei vissuto un quarto, un quinto, forse un anno, o due. Era inutile quindi vivere temendo ogni giorno che fosse l’ultimo; al contrario, era meglio viverlo come se fosse l’ultimo, e godermi ogni giorno che veniva, che iniziai a considerare un regalo. Quindi presi la moto e tornai a godermi la vita, facendo un giro al lago. Lei, con mia sorpresa, mi telefonò mentre ero a passeggiare sulla spiaggia, e mi disse “volevo sapere come stai”; e io le risposi “bene. Ma tu come stai?” e lei: “oggi bene Paolo, ma per tutti questi mesi ho avuto una forte depressione, e sono rimasta sempre a letto, senza riuscire a fare più nulla. Oggi, non so perché, sto bene, e ho trovato la forza di telefonarti. Mi sono alzata stamattina senza un perché e sono riuscita ad alzarmi dal letto e allora ti ho chiamato”. Mi aveva insegnato a comunicare col silenzio, e nel silenzio comunicavamo, ed eravamo tornati alla vita nello stesso giorno.
4. Lasciar andare il controllo.
Il nostro problema era la parola. Un conflitto continuo con cui però lei mi dava insegnamenti continui.
Il secondo insegnamento che mi dette mi si stampò a lettere di fuoco nella mia anima. Un giorno si alzò a meta pasto senza dire nulla, se ne andò senza dire quando e se tornava. Ricomparve il giorno dopo come se niente fosse, con un viso allegro e la busta della spesa in mano, dicendo che era venuta a prepararmi il pranzo, perché sapeva che avevo molto da fare e non avevo tempo per cucinare; le dissi incazzato che non mi piacevano questi comportamenti, ma lei rispose “non è vero. Sei incazzato, ma prevale il piacere e il sollievo nel rivedermi. Inoltre mi ami, e se mi ami, vuol dire che mi ami perché sono cosi e se fossi diversa non mi avresti neanche guardato. Tu vorresti sempre sapere cosa succede, prevedere e prevenire, ma non puoi farlo. Si sta insieme giorno per giorno, non in virtù di un contratto, o di una promessa, che non si possono mantenere. Oggi quindi stiamo insieme, domani, non lo so”. E iniziò a cucinare bella tranquilla, come se il suo comportamento fosse il più naturale del mondo.
Con fatica, imparai a lasciar andare il controllo e ad accettare il nostro rapporto come veniva. Nei momenti in cui lei era nella mia vita, io ero felice. Ma dovetti imparare a ad esserlo anche senza di lei, e a lavorare internamente tutte le prove cui mi sottoponeva regolarmente.
Come quella in cui un giorno mi lasciò per un altro, non perché amasse di più lui ma perché – mi disse – lo amo meno, e quindi riesco a gestire meglio il rapporto con lui.
5. L’altro come specchio di noi stessi.
Un altro episodio che ricordo fu quando era gelosa di una mia amicizia femminile e mi rendeva la vita impossibile con scenate continue. Decisi quindi di lasciarla, e misi la mano sul telefono ma in quel momento mi chiamò lei anticipandomi di un secondo e mi disse “Paolo, purtroppo io so di avere un carattere ingestibile. Ma ti prego di una cosa, continua ad essere come sei, perché se ti amo è perché sei cosi, e non vorrei che tu fossi diverso, e sei nel giusto tu. Fai come se non esistessi, quando urlo o faccio scenate, lascia che sia io a risolvermi il problema che ho. Ignorami e fai finta che non esisto, ma continua ad essere come sei”.
Non la lasciai, a rimasi spiazzato, come sempre. Le chiesi come mai dopo settimane di inferno aveva deciso di dirmi quella cosa proprio in quel momento. E lei rispose “non lo so, so solo che sentivo che questo era il momento giusto, allora ho preso il telefono e ti ho chiamato”.
Anche tempo prima mi dette un insegnamento simile. Nel tentativo di gestire il rapporto con lei decisi di replicare tutti i suoi comportamenti, per vedere la sua reazione. Cominciai quindi ad andarmene anche io a metà pasto senza dirle una parola; le attaccavo il telefono in faccia a metà telefonata, come faceva lei, e poi tutta un’altra serie di comportamenti bizzarri.
Ancora una volta la sua reazione fu per me imprevedibile. Si incazzò e mi disse “senti Paolo, tu hai un carattere difficile, non credere che di essere una persona semplice. Io non riesco a gestire i tuoi difetti e anche i miei contemporaneamente. Io accetto i tuoi, tu accetta i miei, perchè ognuno di noi è lo specchio dell’altro, e lavora su te stesso, non su di me per cambiarmi“.
E mi fece riflettere che si, quando ci innamoriamo, ci innamoriamo anche dei difetti, altrimenti non avremmo scelto proprio quella persona. E l’altro, come dice Peter Schellembaum, è lo specchio della nostra vita segreta.
6. Lasciar andare la paura.
Una delle volte in cui mi lasciò fu quando iniziai ad occuparmi di delitti rituali. Aveva paura sia per me, ma anche per lei perché quando andavamo in giro si accorgeva che eravamo seguiti (mentre io non bado mai ai particolari attorno a me, quindi non me ne accorgevo mai). Talvolta ci entravano in casa (mia soprattutto, ma anche sua).
Quando contrasse il tumore, a quel punto non aveva più paura. Aveva una paura molto più grande da affrontare. E doveva affrontare il problema della perdita dei capelli, dei malesseri continui, del vomito continuo, della perdita di sensibilità nel corpo, dovuta alla chemioterapia. Tutte le sue paure svanirono come per miracolo e mostrarono il loro vero volto: erano inesistenti.
Un giorno mi telefonò un certo Michele Angelo Fregonese; costui era un tizio che mi chiamava spesso per preavvertirmi di cose che sarebbero successe in futuro, che puntualmente accadevano; ricordo ad esempio che un giorno mi predisse che avrebbero ucciso con un fucile un certo Angelo, e il giorno dopo comparve la notizia al TG1 del suicidio di un certo Angelo Lolli, con un fucile. Dopo diverse previsioni avverate mi disse “avvocato, Giovedi uccideranno lei, si troverà invischiato in una lite tra extracomunitari e per caso qualcuno la accoltellerà. Combinazione volle che quel giorno era domenica, e proprio il lunedi presi possesso di una casa in affitto, di colore rosa (purtroppo la affittai di sera e non avevo notato il colore) da una signora che si chiamava Tea (che è un tipo di rosa, ma lo scoprii solo al momento della firma del contratto); quel lunedi scoprii che sopra di me abitava una coppia di extracomunitari e lei si chiamava Rose. Insomma, un po’ di apprensione mi venne, ma Mariapaola mi disse “tranquillo, vieni a dormire da me per tutto il giorno. Tanto ormai non ho più paura, cosa potrebbero farmi di più?”.
Un tempo sarebbe rimasta a letto paralizzata dal terrore, come accadde qualche anno prima, in cui lei stessa aveva ricevuto delle minacce piuttosto pesanti.
Il paradosso di questa vicenda è che Mariapaola aveva paura che morissi, ma è morta lei. E l’altro paradosso è che apparentemente aveva paura di morire, quando la morte è l’unica cosa che non dovremmo temere. In realtà quello che temeva veramente era la vita, non la morte.
7. La Rossa e il mio destino.
Insomma, la Rosa Rossa, e con essa l’orrore che accompagna questa organizzazione, ha sempre fatto parte della mia vita, e il destino che univa me e Mariapaola era già scritto da prima che ci conoscessimo.
Come era già scritto il destino tra me e D., una relazione che ebbi nel 2004, in una delle volte che provai ad avere una storia sentimentale normale, con una donna che amavo e con cui finalmente mi pareva potessi instaurare un rapporto sereno, perché era intelligente, simpatica e dialogavamo di tutto. Ci lasciammo dopo circa un anno, perché la presenza di Mariapaola nella mia vita era troppo ingombrante e tutte le relazioni che ho provato nei periodi in cui non stavamo insieme non hanno mai funzionato, né per me né per lei.
Rimanemmo comunque amici e lo siamo tuttora; e lei finì a lavorare proprio a Firenze (all’epoca in cui neanche sospettavo che poi un giorno mi sarei occupato di certe cose). Ricopriva un ruolo importante nelle forze dell’ordine di Firenze e ebbe modo di stare a contatto con molti personaggi legati alla vicenda del mostro. Mi fornì le informazioni più importanti sulla vicenda del mostro, e scrisse addirittura lei un articolo che firmai io (perché diversamente lei avrebbe potuto avere dei problemi). Fu la profonda fiducia e stima che nutrivo in lei che mi convinsero che fossero Vigna e Spezi due dei maggiori responsabili dei delitti del mostro (diversamente avrei potuto pensare che mi sbagliavo, o che ero depistato da qualcuno). Di D, mi sono sempre fidato ciecamente e quindi quando lei mi confermò tutto decisi di scrivere quegli articoli che, lo sapevo, mi avrebbero incasinato la vita. Anche questa relazione, insomma, fondamentale per la mia vita, era legata senza che lo sapessi, dalla RR.
Un’altra relazione di cui ho parlato spesso fu quella con Rahel, la cui prima telefonata tra noi fu una consulenza nella quale voleva capire come mai ad ogni compleanno si materializzava sempre una rosa rossa; fin dalla sua nascita (quando sulla culla apparve una rosa rossa senza che nessuno riuscisse a capire chi l’avesse portata) ad ogni compleanno compariva una rosa rossa, sulla finestra o sulla porta, anche quando lei era all’estero, o in un albergo in vacanza.
Del resto questi segnali del mio destino, senza che li cogliessi, c’erano addirittura nella prima relazione importante che ebbi, con una ragazza di nome Paola, che durò dieci anni. La conobbi che avevo 20 anni e lei 19. I suoi genitori abitavano in via Dante 33 (e l’importanza di Dante, e del numero 33, per decriptare i delitti rituali penso sia nota a chi mi legge da anni). A quell’epoca abitavo a Perugia, davanti alla casa della famiglia Spagnoli e del Narducci, e ricordo ancora quando io e Paola seguivamo in diretta il processo Pacciani, commentandolo, e la rabbia che mi colse quando Mario Spezi pubblicò l’articolo “errore del mostro, se è passato dall’autostrada, sarà individuato, perché tutti i casellanti avevano l’ordine di prendere le targhe delle auto”. Mi prese una rabbia per giorni che non riuscivo a controllare, dicendo a me stesso che se fossi stato un magistrato io avrei subito indagato quel giornalista (perché mi era chiaro che lo scopo dell’articolo fosse un avvertimento per il mostro, e non fare informazione). Non sapevo che, circa 25 anni più tardi, avrei scritto un articolo in cui indicavo proprio Spezi come il vero mostro, e io e lui ci saremmo confrontati faccia a faccia in un processo. E che Mignini, con cui negli anni ho instaurato un legale di stima reciproca e collaborazione, lo avrebbe veramente indagato.
Anche in quegli anni, con Paola, la Rosa Rossa era sempre li, accanto a me, solo che non me ne accorgevo.
Tutte le mie relazioni, insomma, hanno avuto sempre questo legame con la Rosa Rossa. Nei primi anni delle mia vita era un legame ovviamente per me invisibile e impossibile da capire, ma oggi la cosa è diventata evidente.
8. Sincronicità e destino.
Avevo raccontato su facebook, giorno per giorno, la cronaca del tumore di Mariapaola; il regista inglese Riccardo Dujani la lesse e decise di farci uno spettacolo teatrale, che intitolò “Protocols” (protocolli); i protagonisti erano Mariapaola, io, e Francesca, la sorella del mio amico Massimo che si ammalò in contemporanea a Mariapaola dello stesso tumore; subirono l’asportazione al seno più o meno nello stesso periodo e subito dopo entrambe avevano il corpo pieno di metastasi. La differenza fu che a quel punto Francesca utilizzò la terapia Di Bella e guarì definitivamente, Mariapaola morì dopo circa due mesi perché scelse ancora una volta la chemioterapia. Bene, il teatro in cui l’evento fu rappresentato lo spettacolo si chiama “Rada”. L’ultimo viaggio che feci con Mariapaola fu in Germania; all’aereoporto mi regalò una valigia, marca “Rada”, con cui ho sempre viaggiato ovunque, senza sapere che quello era il simbolo del nostro ultimo viaggio fatto insieme su questo piano terreno.
Un altro episodio significativo è il seguente. Quando Mariapaola si ammalò, mi contattò una mia allieva dei corsi da avvocato, Licia Santander. Mi disse che aveva un tumore al seno, triplo negativo, e difficoltà a fare le esercitazioni rispettando la tempistica prevista e se potevo riservarle un trattamento diverso. Mi colpì la coincidenza che avesse lo stesso tumore di Mariapaola e in quei mesi spesso io e lei ci scrivevamo e ci sentivamo per telefono. Quando poi Mariapaola morì, dopo il funerale rimasi da solo davanti alla tomba, e mandai un messaggio a Licia, come facevo spesso, per chiederle come stava. Il telefono risultava spento e il messaggio non arrivò. Segno che anche Licia era morta. Fu in quel momento, davanti alla tomba, che realizzai che Mariapaola era stata seppellita sopra la tomba di una sua zia, Licia Labanca, morta anch’essa di tumore alcuni anni prima. E Santander è il nome di una banca.
Lo vidi come un messaggio chiaro da parte dell’universo: nulla è per caso, tutto è collegato.
9. Il destino come scelta.
Per ciascuno di noi esiste un destino già scritto, con le tappe di questo cammino predeterminato in anticipo. E nei rapporti sentimentali spesso questa cosa è proprio evidente. Il libro di Janis Rastelli, Metafisica dell’amore, è stato per me fondamentale per capire meglio il rapporto tra me e Mariapaola, e capire che erano solo prove, predeterminate dalla mia anima, per poter evolvere. Ma è stato fondamentale anche per capire tutti gli altri rapporti successivi.
Questo cammino che noi facciamo è disseminato di eventi in parte tragici e in parte bellissimi. Sta a noi prendere gli eventi tragici e trasformarli in insegnamenti, e poi prendere i momenti belli, riannodarne i fili, e vedere il gioco che sta dietro a tutti questi eventi. Lo scopo è quello di vedere il cosiddetto Lila, il gioco di Dio. E la cui meta ultima è percepire il divino ovunque.
Quando ho incontrato Giusy mi ha fatto capire come i nostri rapporti sono decisi in astrale, e calano poi nella materia, non sempre nella forma che hanno in astrale (l’ho raccontato in: Mariapaola e il sole dietro al sole). Da quel giorno ho riannodato tutti i fili del mio passato e tutto ha acquistato un senso definitivo. Storie della mia vita che si intrecciano con altre storie, che si intrecciano a loro volta con quelle di altre persone che hanno vite apparentemente diverse ma che sono collegate alla mia (Paola, la mia prima relazione importante; Mariapaola, D., Rahel, Stefania, Massimo, Francesca, Giusy, ma poi Elena, Fabio, Elisabetta, Maurizio; Alessandra…) finchè ad un certo punto diventa impossibile non vedere il disegno complessivo e non vederci l’unità del tutto.
Il mondo non è cattivo, né buono. Semplicemente, è. Sono i nostri occhi che devono decidere con che sguardo vedere il mondo. E come prendere gli eventi che ci accadono.
Un giorno che io lasciai Mariapaola (il motivo era sempre lo stesso: mi stancavo di essere messo alla prova e avrei voluto un rapporto sereno) lei piangendo mi disse “ma perché mi lasci? All’inizio il nostro rapporto era un disastro, non poteva andare peggio. Poi è migliorato sempre più, ci capiamo sempre di più e ci amiamo sempre di più e io lo sento che mi ami. Non capisci che siamo partiti dal peggio del peggio e finiremo prima o poi nel meglio; che il nostro rapporto va tutto al contrario dei rapporti normali, ma che in futuro siamo destinati a stare bene?”.
In effetti la nostra relazione ha funzionato tutto al contrario dei rapporti normali (basti pensare che per 16 anni non siamo mai riusciti a convivere più di qualche giorno, e l’unico periodo di convivenza sereno fu quello in cui contrasse il tumore, che è durato 10 mesi. Il nostro record di serenità).
La nostra relazione continua ad essere anomala perché da quando non è più sul piano fisico, la sento sempre vicina, ogni giorno, e comunichiamo ancora, ma nel silenzio, come mi aveva insegnato a suo tempo.
Ed aveva ragione lei ancora una volta; la nostra relazione è diventata sempre migliore col tempo e più passa il tempo, più ne capisco l’insegnamento.
E solo ora ne vedo la perfezione. E gli insegnamenti, che spero arrivino anche ad altri come sono arrivati a me.
L’insegnamento più importante che ho ricevuto è che c’è un destino già scritto per ognuno di noi. E capirlo è una scelta, come dice il libro di Thorwald Detlefsen.
maria
28 Ottobre 2022 @ 5:54
Pensa a quel santino che Maria Paolo ti lasciò. Si avvicina il mese dei morti, va al cimitero e prega per lei. Ho un debito di conoscenza nei tuoi confronti, non avrei compreso tante cose se nel 2009 casualmente non mi fossi imbattuta in un’ Harley Davidson e la massoneria. Lascia stare il solo nero e tutto ciò che lo riguarda. Anche le vicende del mostro di Firenze forse non hanno poi tutta questa importanza. Oggi mi recherò al santuario dell’Arcangelo sul Gargano e pregherò anche per te.
A Napoli esiste una fortissima devozione per le anime del Purgatorio e San Michele.
Ti saluto
3mkhz
28 Ottobre 2022 @ 20:07
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