Dali. Lezione sull’amore.
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini, figli cari.
Chi riesce a vedere la vera condizione di tutto quanto esiste scopre e si rende consapevole che tutto è Uno. La varietà delle materie e delle forme di vita degli esseri non sono che diversi aspetti di una sola sostanza, di una sola vita, di un solo essere. Se così è, la realtà allora, ogni qualvolta la si suddivida categoricamente in parti come se queste fossero autonome ed enucleabili dal tutto, si commette un errore. Parlare di naturale e di sovrannaturale è un errore: tutto è naturale. Parlare di Spirito e di materia è parlare di una stessa sostanza in due diversi stati di manifestazione: ciò è tanto vero che la materia senza lo Spirito non esisterebbe e viceversa.
Se comporre un sol tutto inscindibile è la reale collocazione di ogni elemento che costituisce la molteplicità degli esseri e dei mondi, allora non deve meravigliare che l’analogia dei comportamenti vi sia non solo fra enti analoghi esistenti in uno stesso piano, ma anche fra enti di diversi piani di esistenza; perché come ho detto ciò che fa considerare diverso è solo l’apparenza. La diversità nasce dall’apparire, dal manifestarsi diversi, ma non dall’esserlo nella realtà.
La semplice funzione – se semplice si può definire – della madre che insegna al figlio a camminare in un primo momento sostenendolo addirittura, è analoga a tantissime altre che riguardano attività ritenute più nobili e più importanti, pur essendo ogni attività dell’essere nella misura che si confà egualmente importante. Il “sentire” che per svilupparsi, inizialmente, deve essere stimolato, provocato dagli urti dei mondi della percezione, è come il figlio che prima di rendersi autonomo nella deambulazione è portato quasi di peso dalla madre. Allo stesso modo il “sentire” che poi si manifesterà ed espanderà in modo indipendente dagli stimoli del mondo ritenuto esterno, è analogo al figlio che ha imparato a camminare e si sposta da solo. L’amore verso gli altri, che è l’essenza del “sentire” prossimo a svincolarsi dalla necessità degli stimoli, nasce gradualmente ed in modo analogo a come il figlio impara a camminare.
La sessualità
La natura ha messo a disposizione di ogni essere una fonte di stimoli, atti a suscitare il germogliare dell’amore verso gli altri: tale fonte è la “sessualità”. Il richiamo sessuale fino dalle forme di vita animali in cui principalmente è fonte di sensazioni, cioè di stimoli atti a sviluppare il veicolo astrale degli esseri, costituisce quel supporto nei riguardi dell’amore all’altro analogo a quello costituito dalla madre che insegna a camminare al figlio.
Sotto l’impulso del richiamo sessuale gli esseri sono invitati a distogliere l’attenzione polarizzata su se stessi e a rivolgerla ad altri. Il rivolgersi all’altro si concretizza in attenzioni diverse da individuo a individuo che denunciano una diversa sensibilità ed una diversa capacità di affetto. Ognuno ama in rapporto alla propria evoluzione. Sotto l’impulso sessuale la capacità di amare si esprime al suo massimo, raggiunge l’acme. Ma se tale capacità è esigua, quando l’impulso sessuale viene meno, cessa anche l’amore all’altro. Invece quando la capacità di amare ha raggiunto un certo valore, se anche cessa lo stimolo sessuale, l’affetto, pur diminuendo per mancanza di incentivazione, rimane, sopravvive. Ho parlato dello stimolo sessuale nella sua forma più pura e rispondente alla sua naturale funzione; cioè non di quello stimolo sessuale che è vizio perché è eccesso; anche il vizioso fa una sua esperienza a lui necessaria, anzi essenziale. Tuttavia non è quella esperienza di cui parlavo, cioè quella che insegna ad amare l’altro; sarà un’esperienza che insegnerà la temperanza, che lo condurrà per reazione a saper dirigere se stesso, a non lasciarsi trascinare dagli stimoli, ad avere una propria volontà, ma non specificatamente a suscitare l’amore verso gli altri. L’istinto sessuale nella sua naturale ragione che – mi preme ripeterlo – è spiritualmente quella di suscitare l’amore verso gli altri, non è niente di sporco e vergognoso più di quanto non lo sia una madre che sorregge il proprio figlio per insegnargli a camminare. Non solo: ma chi ama per raggiunta capacità di amare al di là dell’evocazione operata dal richiamo del sesso, cioè di un amore vero, può benissimo per risonanza avvertire anche un moto di natura sessuale verso le persone amate. Ciò non è affatto condannabile. E’ semplicemente la naturale reazione del corpo ad un impulso di amore che sgorga dalla parte più vera dell’essere. Naturalmente facendo queste affermazioni non prendo in considerazione tutte quelle implicazioni sociali in forza delle quali la manifestazione di un amore non canonico potrebbe scandalizzare l’amato. Intendo dire che chi veramente è evoluto ed amando altri sentisse per essi un impulso sessuale condannabile dalle regole sociali, certamente per non scandalizzare gli amati serberebbe nel segreto del suo cuore il suo trasporto d’amorosi sensi. In ogni altro caso simili problemi debbono sempre essere risolti dalla coscienza individuale, tenendo tuttavia presente che è la legge che è fatta per l’uomo, e non viceversa.
La maternità
Un altro artifizio della natura per suscitare l’amore agli altri è la maternità. Anche questo mezzo per insegnare ad amare trova le sue prime applicazioni nel regno animale. Certamente avete osservato l’affetto espresso dagli animali nei confronti della prole per tutto il periodo di sviluppo di essa. E’ quel vestito che la natura pone addosso all’essere affinché ami qualcuno che non sia lui stesso. E l’essere ama, almeno finché indossa quel vestito; è il caso degli animali che dimostrano attaccamento ed amore per i propri figli talvolta maggiore di quello dimostrato dagli uomini. Però appena la natura toglie quello stimolo l’amore ripiega su se stesso ed i genitori non conoscono più i già amati figli. Nell’uomo invece l’amore per i figli resta anche quando essi sono ormai adulti. L’amore che la natura innesca rimane oltre l’innesco. Rimane, più che l’amore per i figli, la capacità di amare.
Istinto a raggrupparsi
Un altro mezzo di cui si serve la natura per insegnare agli esseri ad amarsi è l’istinto a raggrupparsi, a vivere in branchi, a costituire una famiglia, insomma la socializzazione. Anche la solidarietà che istintivamente lega i membri del gruppo è un supporto, un sussidio simile alla funzione della madre che sorregge il figlio per insegnargli a camminare. E’ una qualità che viene automaticamente conferita perché poi la si ritrovi coscientemente acquisita come indelebile natura del proprio essere. Ma mentre avere figli, tranne le eccezioni che esistono per ogni evento che si voglia codificare, comporta automaticamente l’amore per essi in proporzione alla propria capacità di amare, non così scontato è l’amore per gli altri famigliari, almeno per l’uomo. L’animale sociale, infatti, docilmente ubbidisce al comando della natura di essere solidale verso gli altri individui del suo gruppo; mentre l’uomo raggiunge una tale mèta dopo che ha imparato ad amare suo figlio, il suo amante, al di là dello stimolo che la natura gratuitamente infonde; quando ha imparato ad amare i figli adulti e l’amante che non più non ispira attrattiva sessuale, allora la sua capacità di amare dovrà estendersi ad altri che possono essere i genitori, gli amici, ed infine gli estranei. Questo fatto non deve erroneamente far pensare che l’uomo sia meno evoluto dell’animale; la ragione di tutto ciò è che l’impulso alla socializzazione la natura lo infonde più intensamente negli animali che non nell’uomo, e questo per evidenti ragioni di sopravvivenza delle specie. Per socializzazione non si deve intendere solo un vivere assieme in gruppi o società, ma si deve intendere agire solidarmente in vista di un bene comune. L’uomo deve trovare la solidarietà che negli animali sociali è istintiva, non esclusivamente attraverso al supporto naturale – cioè all’impulso di cercare compagnia e vivere accompagnato – ma attraverso a tutte le altre esperienze di relazione che gli doneranno alfine la vera coscienza sociale, la vera fraterna solidarietà, il vero amore altruistico essenza del vero amore.
L’egoismo come strumento per imparare ad amare
Infine parlerò del più forte supporto che la natura dà all’uomo per insegnagli ad amare: l’egoismo. La natura di tale supporto è diversa da quella degli altri quali l’istinto sessuale e la maternità; infatti questi ultimi sono conferiti, sono cioè condizioni particolari che al limite in qualche incarnazione – per speciali ragioni – possono anche non essere date. Mentre l’egoismo è automatica conseguenza dell’essere uomo. Cioè del concepire se stessi separati, del considerarsi inseriti in una realtà strutturata in io e non io. L’egoismo non è qualcosa che l’uomo può non avere come l’istinto sessuale o l’istinto materno; l’egoismo l’uomo non l’ha quando non è più uomo, quando cioè l’ha superato e vive altruisticamente. E mentre l’evoluto può avere ancora l’istinto materno e quello sessuale, anche se divenuti inutili poiché ha già imparato la lezione che dovevano insegnargli, invece non avrà più l’istinto egoistico. Sembra un paradosso: l’amore di sè per imparare ad amare gli altri. Ma pure se vi osservate con attenzione dovete concludere che tutto ciò è profondamente vero. Se l’uomo non avesse il desiderio di possedere beni materiali, se non cercasse di mettersi in evidenza fino ad essere celebre, se non volesse accaparrare amicizie importanti, insomma, se in varie forme non cercasse di carpire qualcosa degli altri per arricchire se stesso ed il suo mondo, l’uomo sarebbe una cittadella chiusa in se stessa ed inviolabile anche dagli attacchi esterni. Se non vi fosse il desiderio di contrarre relazioni con i propri simili – sia pure dettate da ragioni egoistiche – l’uomo non incorrerebbe in quelle esperienze che a lungo andare totalmente lo trasformano perché non vivrebbe. Può sembrare curioso il fatto che la natura dia all’uomo in modo congenito una visione della realtà diametralmente opposta a quella che poi l’uomo alla fine troverà. Ci si può chiedere come mai, in modo congenito, non dia invece la giusta concezione altruistica. La risposta sta nel fatto che tutto quanto la natura attribuisce in modo automatico non è patrimonio della coscienza; mentre il fine dell’esistenza di ogni essere è la costituzione della Coscienza Assoluta. Dall’incoscienza all’Assoluta Coscienza, è la via dell’individualità in cui sono collocati individui che esprimono, manifestano gradi di coscienza sempre più onnicomprensiva. L’egoismo che è incoscienza anche quando è perfettamente consapevole è il mezzo naturale attraverso al quale l’uomo scopre di essere l’indivisibile ed indivisa parte di un TuttoUno. Questa scoperta dona uno slancio incondizionato, un trasporto da nulla arrestato, un’effusione che non conosce dubbi nei confronti di tutti gli altri esseri. Un tale intimo “sentire”, di cui l’uomo inizialmente può conoscere solo frammenti, è qualcosa di simile all’amore più grande che l’uomo possa provare anche se l’amore umano al confronto è come la luce di una favilla rispetto al fulgore del sole più luminoso. Se il vostro amore non conosce condizioni, dubbi, tepidezze, se amate senza essere riamati, se quell’amore vi rende costantemente felici, paghi, se ininterrottamente vi dà la pienezza, se trovate la felicità solo nella felicità degli amati, se date prima ancora che vi sia richiesto e se l’amare è il solo compenso che gioiosamente vi ripaga di ogni fatica, di ogni sacrificio per gli amati, voi siete fra quelli che possono lontanamente immaginare cosa sia l’amore divino, quell’amore che a ognuno così parla:
«Figlio mio, più che amare e suscitare l’amore voglio che tu sia l’amore stesso; così, se è l’amore materno che può avviare un tale miracolo ti farò madre ed io sarò tuo figlio; se è l’amore sensuale allora io non mi scandalizzerò ad esserti amante; se sarà l’amicizia a potere tanto io sarò il tuo fedele amico; ma se sarà l’amore agli altri anonimi, allora in ognuno di essi mi vedrai quale veramente io sono, e comprenderai, essendolo tu stesso, l’essenza del vero amore».
Che la pace sia con voi e con tutti gli uomini.
Dali