Il Mostro di Firenze. Storia dell’idiozia dei mass media dal 1968 ad oggi.
Questo è l’ennesimo articolo sul mostro di Firenze. Ma è un articolo diverso, perché è una ricostruzione dell’intera vicenda attraverso particolari poco conosciuti. La ricostruzione è stata possibile grazie all’immenso lavoro effettuato da Gabriella Carlizzi con il suo ultimo lavoro, “Il Mostro a Firenze”, che raccoglie nei primi quattro volumi la cronologia degli articoli di giornale apparsi sui quotidiani dal 1974 ad oggi.
E’ possibile riscrivere così una storia diversa da quelle ufficiali, che è in realtà la storia di oltre 35 anni di bugie, balle mediatiche, omissioni, depistaggi.
E’ soprattutto la storia di una realtà che spesso abbiamo sotto gli occhi ma che è troppo atroce per essere vista.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mostro_di_Firenze
2. La storia “riservata” del Mostro di Firenze.
La storia del mostro di Firenze inizia in realtà prima del delitto del 1968. Inizia, per la precisione, il 14 agosto del ’68 quando a Pratica di mare venne ucciso un militare di guardia all’aeroporto e gli venne rubata una Beretta calibro 22. Il militare viene ucciso, sgozzato con un taglio netto alla gola che parte da un orecchio e arriva fino all’altro. Un lavoro da professionisti insomma, da persone abituate e addestrate ad uccidere; persone sicure di farla franca anche di fronte all’esercito.
Su un evento di gravità tale da poter scatenare una guerra, ad un certo punto cala – perlomeno mediaticamente – il silenzio, e pochi notano che una settimana dopo verranno uccisi con una Beretta calibro 22 Barbara Locci e Antonio Lo Bianco.
E l’episodio non verrà sottolineato a sufficienza.
Come è noto, al cosiddetto Mostro di Firenze vengono attribuiti 7 (o 8, a seconda delle versioni), duplici omicidi. Chi uccide infierisce sempre sui cadaveri, con le escissioni di parti anatomiche, o con un alto numero di coltellate. Ad esempio su una delle vittime vennero trovate 96 coltellate.
Bene.
L’ipotesi che giornalisti, esperti, criminologi, ecc. fanno immediatamente è che l’assassino uccida le coppie e poi se ne torni bello tranquillo a casa. “Potrebbe essere uno di noi” “Potrebbe essere uno qualunque, anche il nostro vicino di casa” “Una persona insospettabile che vive con la madre”. Queste e altre idiozie simili vengono propinate dai giornali, ignorando che se uno vivesse con la madre non potrebbe tornarsene tranquillamente a casa imbrattato di sangue dalla testa ai piedi col rischio di essere scoperto.
Dovrebbe essere evidente a tutti, infatti, che è impossibile per chiunque dare 96 coltellate ad una persona senza ritrovarsi cosparsi da un lago di sangue. A meno che l’assassino non giri con una doccia portatile appresso, e sia solito lavarsi subito dopo i delitti.
Quindi, se il killer esiste, occorrerebbe ipotizzare che viva in campagna, completamente isolato, e che probabilmente abbia due automobili: una che usa per andare in giro ad ammazzare coppiette, e una per la vita ordinaria, perché dopo gli omicidi deve necessariamente aver imbrattato l’auto di sangue e per lui sarebbe impossibile non essere scoperto.
Fin dagli anni ’80 molti ipotizzano che siano usate due armi e che gli assassini siano più di due, ma questa ipotesi verrà perlopiù scartata nella maggior parte delle ricostruzioni ufficiali, per un bel po’ di anni. Solo dopo il processo Pacciani, si inzierà a parlare di una banda. Eppure di elementi per capire che gli assassini erano più di uno ce ne sono: dal fatto che sul terreno non ci fosse segno di trascinamento (quindi l’assassino doveva avere una forza erculea, oppure – sarebbe stata la soluzione più logica – i cadaveri erano stati trasportati da più di una persona); dal fatto che il sangue sulla scena del delitto risulta essere poco, rispetto a quello che dovrebbe esserci.
Anche le escissioni sembrano provocate con tecniche diverse, tanto da far ipotizzare due gruppi diversi di persone che agiscono con modalità simili, ma non identiche (La Nazione, 1.10.2002).
Nel giugno 1981 viene arrestato un guardone, Enzo Spalletti, che aveva senz’altro assistito al delitto ma si rifiuta di parlare e di dire quello che sa. Sorvoliamo sul significato esoterico dell’auto e del suo numero di targa (Taunus rossa targata 669906; difficile capire poi, il motivo per cui i giornali riportano il numero di targa; che rilevanza ha?). Il fratello racconterà che parlando con un amico guardone, anche lui presente alla scena del delitto, questi gli disse “se non sto zitto mi fanno fare la fine di tuo fratello” (La Nazione, 26.10.1981).
Nessuno si fa la domanda: ma chi è che potrebbe avere il potere di incutere tanta paura a qualcuno? Quale motivo ha Spalletti di preferire la galera piuttosto che dire tutto ciò che ha visto?
E’ ovvio che lui è coinvolto, oppure che sa qualcosa di così tremendo da non sentirsi protetto neanche dalla polizia.
Ma nessuno fa caso a questo particolare.
“Sa, ma non parla per paura. Teme per la sua vita e la mia”, è una frase che dirà anche Natalino Mele, il figlio di uno dei sardi accusati del primo delitto del 1968.
Non solo. Ma anche il maresciallo Minoliti dichiarò a Spezi di aver paura (“Dolci colline di sangue”, pag. 204). Di cosa dovrebbe aver paura un maresciallo dei carabinieri? Di un killer isolato?
La sera dell’omicidio di Susanna Cambi e Stefano Baldi qualcuno telefonò a casa Cambi dicendo che voleva parlare della ragazza ma la linea si guastò (La Nazione, 27.10.1981).
Un episodio inquietante su cui nessuno si sofferma.
Difficile pensare ad un guasto casuale.
Inoltre, se l’assassino aveva scelto le vittime a caso, non poteva sapere il numero di telefono. Quindi la domanda è: chi e perché telefonava, e perché qualcuno volle interrompere questa telefonata?
Tantopiù che, parlando di telefoni, anche la sera di uno degli altri delitti, secondo la ricostruzione di un autista dell’ambulanza, le linee nella zona erano tutte interrotte e rimasero fuori gioco per circa due ore.
Anche qui è difficile pensare ad una coincidenza.
E’ possibile invece che qualcuno sapesse del delitto, e che questo qualcuno avesse il potere di utilizzare i telefoni come meglio crede.
Ma nessuno nota il particolare, e se lo nota, non lo colloca nella luce giusta.
Le prime tre vittime hanno caratteristiche somatiche identiche. Qualcuno ipotizza che le vittime non siano state scelte a caso (La Nazione, 28.10.1981) e tale ipotesi verrà confermata in seguito, perché in più di un caso le vittime erano state seguite nei giorni procedenti, e spiate.
Nel settembre 1985 viene recapitato un lembo di pelle di una delle vittime al magistrato Silvia Della Monica. La notizia doveva restare segreta ma viene divulgata.
Da chi? Perché?
Dopo l’ultimo delitto poi compare una notizia assurda. I giornali titolano: Errore del Mostro, la sera del delitto era stato dato l’ordine a tutti i casellanti dell’autostrada di annotare i numeri di targa. I giornali quindi specificano che a causa di questo errore il mostro potrebbe essere incastrato.
In una parola: i giornali bruciano così una strategia investigativa, divulgando quello che doveva essere un segreto.
Perché? Come mai tanta leggerezza a fronte di una vicenda così delicata?
L’articolo, firmato da Mario Spezi il 29 settembre 1985, può portare a due conseguenze:
1) se il Mostro è davvero un killer isolato così bravo e così in gamba, ne approfitterà per scomparire o prendere le contromisure;
2) se invece i delitti sono compiuti da un’organizzazione, l’articolo è destinato a indicare il complice scomodo da eliminare.
Delle due possibilità si verifica la seconda.
Dopo pochi giorni, il 13 ottobre del 1985, infatti verrà trovato nel lago Trasimeno il cadavere di Francesco Narducci, che la sera dell’ultimo delitto pare che fosse passato, guarda caso, proprio dall’autostrada.
Il caso Narducci scoppia sul serio però solo nel 2002.
La storia è nota. Narducci, medico perugino, aveva una casa in affitto a San Casciano, pare addirittura nella residenza del Principe Corsini; pare inoltre che avesse una casa al lago in cui custodiva i feticci. La procura perugina accerterà che era coinvolto nei delitti del Mostro di Firenze e che fosse lui il medico (o uno dei medici) che pagava Pacciani per farsi dare i feticci (Il messaggero, 25.1.2004). “Francesco mi confidò che faceva parte di una setta satanica, quella dei delitti, e che lui era il custode dei feticci”, dichiara un testimone.
Senza scendere nei particolari, chi ha seguito il caso Narducci sa che il giovane medico non annegò affatto, come si sostenne in un primo tempo, ma venne in realtà strangolato.
Ora, se è vero che Narducci confidò di essere il custode dei feticci, si capisce anche il perché sia stato strangolato; probabilmente infatti più che strangolato sarà stato “impiccato” perché quella è la fine che fanno i traditori (Giuda, e Pier della Vigna nella Divina Commedia, come giustamente indica il romanziere Thomas Harris nel suo libro “Hannibal”).
O forse, a ucciderlo fu l’articolo di Spezi che per forza di cose lo aveva “bruciato”.
E’ noto che le indagini su Narducci furono ostacolate da vari fattori, tra cui la scomparsa di tutti i registri che lo riguardavano nell’ospedale in cui lavorava, e i depistaggi operati da persone delle forze dell’ordine, avvocati, ecc…, che vennero rinviate a giudizio dal PM Mignini per depistaggio.
Si scoprirà che segnalazioni su Narducci erano state fatte agli inquirenti già dai primi anni ’80.
Su La Nazione, nel luglio 2002, compare la notizia che due delle vittime del primo delitto (Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini) frequentavano maghi. Verranno fuori notizie analoghe anche per altri ragazzi. Addirittura pare che la coppia francese uccisa nell’ultimo delitto fosse andata in vacanza a Firenze proprio per praticare riti esoterici nella zona di San Casciano.
Tempo dopo verrà fuori che alcuni di questi ragazzi frequentavano un mago, tal Salvatore Indovino. Frequentato anche da Pacciani e altri.
Qui c’è un particolare importantissimo che nessuno ha notato (ad eccezione del commissario Giuttari che lo riporta nel suo libro “Il mostro, anatomia di un indagine”).
Salvatore Indovino prescriveva filtri d’amore per legare la persona amata e la prescrizione prevedeva che la persona che si rivolgeva a lui dovesse rivelare in anticipo il giorno e l’ora in cui costui avrebbe portato la persona amata in un posto in aperta campagna. In altre parole: Salvatore Indovino sapeva in anticipo, quindi, dove sarebbero andati i ragazzi.
Bene. Attenzione ora… nessuno fa questo collegamento: le coppie erano state spiate e individuate nei giorni precedenti (e non scelte a caso come si ipotizzava); a Pacciani durante una perquisizione fu trovato un biglietto con scritto “coppia”; Salvatore Indovino sapeva in anticipo le abitudini sessuali della coppia e il posto dove queste si sarebbero appartate. E’ quindi ipotizzabile che fosse proprio tramite Salvatore Indovino che venissero individuate le coppie da uccidere.
Ma purtroppo Salvatore Indovino muore (manco a dirlo, per cause naturali) poco tempo dopo l’ultimo delitto del Mostro. Quindi non potrà più essere interrogato. Muore cioè proprio la persona che potrebbe essere il collegamento tra il livello inferiore e quello superiore del gruppo di assassini che infestava la campagna fiorentina in quegli anni.
E ai giornali, questo collegamento sfugge.
Peraltro, in questa ottica potrebbero trovare spiegazione alcune frasi all’epoca incomprensibili e a cui né giornali né investigatori avevano dato il giusto peso. Pacciani, ad esempio, dopo l’omicidio di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, in un bar fu sentito mentre diceva “hanno avuto quel che si meritavano” (Gente, 26.2.2005). La frase si potrebbe spiegare, se calata in un contesto in cui le vittime erano state prescelte da prima, per essersi rivolte a Salvatore Indovino.
Il 24 giugno 2002 (giorno di San Giovanni, patrono della Rosa Rossa), qualcuno mutila dei cadaveri nella Cappella del Commiato a Firenze. Si ipotizza, per le modalità dell’evento, che sia stato il Mostro che ha voluto lanciare un messaggio agli inquirenti. Nei giorni successivi vengono sfregiate altre salme.
Guardia di Finanza, polizia municipale, e vigilantes, ipotizzando che verranno profanate ancora altre salme e che la questione costituisca una specie di sfida agli inquirenti, preparano un’operazione congiunta e si appostano nella cappella, con sofisticate apparecchiature elettroniche ad infrarossi. Nonostante sul posto ci sia uno spiegamento di forze tale da poter affrontare una guerra, e che tali forze siano dotate tecnologicamente delle più avanzate apparecchiature, verso le tre di notte per un guasto di zona alla corrente, per circa un’ora le apparecchiature cessano di funzionare; al mattino si scopre che sono state profanate altre salme e che il profanatore è riuscito a farla in barba a tutte le forze di polizia.
Su La Nazione si fa un’ipotesi geniale: “Forse non è una coincidenza”.
Massimo Picozzi, criminologo che si è occupato anche del caso Cogne, afferma che non si possa parlare di rituali satanici: è una persona disturbata o forse, “qualcuno che vuole sollevare fumo” (giornale dell’Umbria, 6.7.2002). “Del resto, aggiunge il criminologo, pensare alla pista satanica è diventata una moda; anche per Cogne è venuta fuori questa tesi”.
In altre parole, secondo il criminologo, abbiamo una persona che vuole sollevare fumo, e che si diverte a sfidare la polizia, e ha anche la fortuna di agire proprio nei minuti in cui c’è un black out elettrico nella zona.
E’ noto che Pacciani entrò nel mirino dell’inchiesta subito dopo l’ultimo delitto. Ed è storia nota quella degli indizi pro o contro ecc… Non ci soffermeremo quindi su particolari ormai noti a tutti. Ci soffermiamo invece su alcuni punti poco indagati, su alcune domande che pochi si sono fatti, e su alcuni particolari non molto evidenziati.
Chi inviò agli inquirenti la famosa asta portamolla, avvolta in un pezzo di straccio che risultò essere compatibile con un altro straccio trovato a casa di Pacciani?
E perché?
Chi aveva interesse ad incastrarlo?
Quali ragioni spingevano questa persona? Ragioni di giustizia? O altro?
Sempre nel 2001 entra in scena “l’ombra dei servizi” (Il Messaggero 6.9.2001), che verranno accusati di depistare le indagini. Il commissario Giuttari farà indagini e perquisizioni anche a carico di persone che lavorano nei servizi segreti.
Si scoprirà che la pista esoterica era già stata tenuta presente dai servizi segreti, che avevano stilato un rapporto, mai consegnato alla procura. E si arriverà a sospettare che “proprio i servizi segreti abbiano pagato il pool di avvocati e investigatori che per anni hanno lavorato per dimostrare l’innocenza di Pacciani” (Corriere della Sera, 6.9.2001).
D’altronde anche lo stesso Pacciani aveva detto “il vero Mostro è a Roma e lavora per i servizi”.
Il nome di questa comunità (Il Forteto) è quasi introvabile sui giornali.
Nulla si è più saputo dell’indagine su questa comunità, che continua ad operare indisturbata; e nulla si saprà di Rizzuto, la persona che farà queste rivelazioni (e che accuserà anche Mario Spezi). E’ vivo o morto? Mistero.
Quindi si scoprirebbero particolari interessanti ovverosia che:
per l’alfabeto ebraico il Tau è il numero 22 (il calibro della pallottola che uccise le vittime) e significa Croce, ma anche Rosa. Quindi il calibro della pallottola è una delle firme dell’organizzazione.
La famosa Villa entrata nel mirino dell’inchiesta sta in una via che ora non citeremo, ma significativa anche essa, a pochi passi da Via Dante e Via delle Rose.
Il corpo di Narducci fu portato su un molo del lago Trasimeno accanto alla cooperativa “Alba”.
Si scoprirebbero tante cose, insomma, ma chiunque si avvicina o vuole parlare della Rosa Rossa fa una brutta fine.
Giuseppe Cosco, che per primo individua la Golden Dawn anche dietro ai delitti di Jack lo Squartatore, morirà proprio in una calda giornata di maggio di pochi anni fa, nel mese delle rose.
Maurizio Antonello morirà impiccato.
Elisabetta Ciabani che sapeva alcune cose sulla Rosa Rossa e voleva parlare, ed era in cura da Maurizio Antonello, morirà con delle coltellate sul pube (ma la cosa verrà archiviata come suicidio).
Infine, l’epilogo di questi giorni.
La Carlizzi, mentre scriviamo queste righe, lotta contro un tumore.
In realtà non è il tumore il suo problema principale, quanto il fatto che qualcuno ha cercato di ucciderla. I medici hanno sbagliato diagnosi, dosi dei medicinali, e altro ancora. Qualche giorno fa, gli fu fatta una flebo di potassio; per fortuna Gabriella ebbe una felice intuizione e si tolse la flebo; dopodiché ha effettuato delle analisi e i valori di potassio nel sangue erano risultati normali. Conclusione: se non si fosse tolta la flebo sarebbe morta per eccesso di potassio.
Anche la dose di chemioterapia che le hanno somministrato è risultata eccessiva per il suo stato di salute, e se non avesse interrotto lei la cura sarebbe morta per la chemioterapia.
Curata da un professore il cui nome richiama proprio la rosa, all’ospedale dove era ricoverata risultavano in cura, nello stesso giorno, sette Gabriella Carlizzi (sette!!!) con la sua stessa data di nascita.
Ora, per fortuna, Gabriella pare aver ripreso in mano la situazione e io sono convinto che nei prossimi giorni anche il suo tumore potrebbe risultare inesistente perché è possibile che anche le diagnosi siano state volutamente sbagliate.
In altre parole, è stato orchestrato un complotto per ucciderla in modo da far passare la cosa come una “morte naturale”.
3. I delitti collaterali.
Poi ci sono i delitti collaterali, la falcidia di testimoni e persone collegate alla vicenda del Mostro di cui ci siamo occupati nell’articolo “Il Mostro di Firenze: quella piovra che si insinua nello stato”:
http://petalidiloto.com/2007/12/il-mostro-di-firenze-quella-piovra-che.html
Come è caduto? “Inciampando in una zolla”.
Una spiegazione ridicola ma a cui tutti paiono credere, in special modo giornalisti come Spezi.
Curiosamente il bracconiere si chiama Marco Parigi e la coppia assassinata dopo pochi giorni (l’ultima, della serie dei delitti del Mostro) sarà proprio una coppia francese.
A Villa Corsini entrarono degli sconosciuti pochi giorni dopo, nonostante la villa fosse sorvegliata; qualcuno dice si trattasse di ladri ma non in realtà non venne portato via nulla. E nessuno capì il perché di quell’irruzione.Nell’ottobre 2001 viene trovata una donna nelle vicinanze di San Casciano, morta, uccisa con una calibro 22 e con una rosa rossa nella vagina (Il Tirreno, 24 e 25.1.2001). Accanto al suo corpo dei cerchi concentrici simili a quelli trovati sui luoghi delle vittime del mostro.Gabriella Ghiribelli, la teste Gamma, che si spegne a 51 anni per morte naturale, ma i giornali dimenticano che a 51 anni non è naturale morire senza una ragione. A meno che per cause naturali non volessero intendere che chiunque si occupa della vicenda “Mostro” è destinato a morire per cause naturali.Una serie di morti sospette l’abbiamo fatto nel nostro primo articolo sulla vicenda del Mostro, ovverosia: Il Mostro di Firenze, quella piovra che si insinua nello stato.
Poi ci sono i silenzi dei giornali, le domande non fatte, le inspiegabili omissioni. Ad esempio. A un certo punto spunta il nome di colui che – pare – inviò l’asta guidamolla in forma anonima agli investigatori. Si chiama Giovanni Spinoso ed è un giornalista RAI che è sposato con la sorella di una delle vittime del mostro.
La notizia sarebbe importante ma nessuno pare occuparsi dei seguenti problemi: perché ha inviato l’asta in forma anonima senza una regolare denuncia? Dove e come si è procurato il panno proveniente dalla casa di Pacciani con cui era avvolta l’asta portamolla? E soprattutto, se sapeva dove era la pistola, perché non ha consegnato l’oggetto ai magistrati, anziché la sola asta portamolla (pezzo che, peraltro, non può essere collegato con sicurezza alla Beretta calibro 22 usata negli omicidi, ma che potrebbe provenire da qualsiasi pistola?).
Come mai questa notizia pare non interessare nessuno?Nel 2001 si inizia a parlare di filmati. Esisterebbero le prove filmate dei delitti del Mostro. Per un po’ i giornali ne parleranno, poi ad un certo punto non se ne parla più (Il giornale dell’Umbria, 20.8.2004). Eppure, pare che in questi filmati siano state effettuate le riprese dei delitti del Mostro.
Nessuno si interessa più ad una prova che potrebbe essere decisiva o, in alternativa, smascherare e sbugiardare come depistatore chi dice di esserseli procurati (Gabriella Carlizzi).
Sarebbe un’occasione unica per coloro che affermano che la Carlizzi si inventa degli scoop inesistenti, invece niente… tutti se ne dimenticano.I giornali (e i libri dei vari “mostrologi”, Spezi, Filastò, Marazzita, ecc…) paiono interessarsi a particolari del tipo “il quadro di Pacciani”, il numero di libri scritti da Giuttari, l’accanimento del PM Mignini su determinate piste, la genuinità o meno della prova X o Y. Esemplare in tal senso è il libro di Mario Spezi “Dolci colline di sangue”, dove l’unico particolare interessante che si produce è la storia relativa al bossolo di pallottola trovato nell’orto di Pacciani, che fu trovato con modalità tali da destare diversi sospetti; pare che addirittura il maresciallo Minoliti avesse fortissimi dubbi sulla genuinità di questa prova; e tuttavia perdendosi in particolari di questo tipo si perde di vista l’insieme e non ci si dedica mai a problemi ancora più gravi come il ruolo dei servizi nella vicenda, oppure ci si dimentica di occuparsi di chi, e perché, ha fatto tutta quella strage nel corso degli anni.
Inoltre ci si dimentica di particolari secondari ma pur sempre importanti; ad esempio:
il legale di pacciani, Fioravanti, fu oggetto di minacce, e addirittura di un’aggressione al figlio 24enne (Corriere dell’Umbria, 30.11.2005). Chi e perché aveva interesse ad aggredirlo?
Di chi o cosa aveva paura Spalletti, tanto da preferire il carcere?
A cosa allude la moglie di Spezi dicendo che chi vuole in carcere Spezi è più potente di lui? Dal momento che dietro al Mostro di Firenze, secondo la singolare tesi del marito, ci sarebbe un mostro isolato, è un po’ difficile che si possa avere paura di un uomo solo.
Chi irruppe negli uffici del Gides perquisendo illegalmente la sede?
Chi mise sotto controllo illegale la telefonia dell’ufficio di Giuttari?
Chi fece sparire il fascicolo relativo a Francesco Vinci e all’omicidio del 68?
Chi fece sparire il biglietto con cui si invitavano i magistrati a rivedere il processo contro Stefano Mele?
E chi e perché non fece distruggere le prove (i bossoli) relativi a quell’omicidio, che vennero trovati intatti nonostante la legge preveda che debbano essere distrutti?
Di volta in volta verranno indagati e/o accusati per qualcosa che ha a che fare con la vicenda del Mostro:- Alberto Bevilacqua, indagato come mandante; il suo caso verrà archiviato e qualche tempo dopo dichiarerà in un’intervista al Gazzettino (8.4.2005) che la sua vicenda era dovuta al fatto di essersi occupato di cose scomode. “Inviato dal direttore di Panorama andai a indagare sui luoghi del mostro di Firenze. E scoprii che non poteva essere stata una sola persona a fare quegli scempi. Scoprii il segno di una rosa rossa, di diabolica connivenza…”
– il giornalista Mario Spezi, anche lui viene indagato non solo per depistaggio, ma addirittura per essere tra i mandanti (Il messaggero, 8.12.2005); si ipotizza che si fosse messo d’accordo con altre persone per far ritrovare alcuni indizi in una villa toscana, Villa Bibbiani, per depistare le indagini; la tesi è stata ripresa da uno dei nostri articoli:
http://petalidiloto.com/2011/02/mostro-di-firenze-il-terzo-livello.html
– lo scrittore americano Douglas Preston, indagato insieme a Spezi (e che con lui scrisse il libro Dolci colline di sangue); assolto.
– il noto dottore Giulio Zucconi (che ovviamente morì di infarto nel 1989); anche la moglie, Ines Pietrasanta, venne indagata per essere coinvolta nei delitti del Mostro (Panorama, 2.12.2004).
– il fratello del dottore, ambasciatore, accusato di depistaggio.
– Gian Eugenio Jacchia, ortopedico di origini padovane;
– Achille Sertoli, un medico professore di dermatologia a Firenze;
– Francesco Bruno (il criminologo che lavorava e lavora per i servizi onnipresente in tutti i delitti della Rosa Rossa, da Cogne a Meredith a Garlasco, che ha sempre sostenuto la pista del Killer isolato); costui verrà accusato di depistare, e inoltre è il medico che prescrive i farmaci a Pacciani, che verrà trovato morto (forse per delle prescrizioni mediche errate); va precisato però che nella trasmissione Porta a Porta del 26.10.2001 verrà dichiarato ufficialmente sia da Bruno che da Giuttari (che perteciparono alla trasmissione) che Bruno compare nell’indagine solo come testimone, non come indagato.
– un funzionario di polizia (Osvaldo Pecoraro).
– Carmelo Lavorino, famosissimo criminologo, fervente sostenitore dell’ipotesi “Pacciani innocente”, che viene accusato di essere colui che ha inviato delle lettere anonime, indicando come Mostro di Firenze nientemeno che Pier Luigi Vigna. Lavorino verrà assolto.
Da notare che anche il magistrato Vigna verrà accusato di depistaggio.
E il suo accusatore verrà arrestato per calunnia.
La tesi è stata avanzata anche da noi, in questo sito, nell’articolo Il mostro di Firenze il terzo livello, (http://petalidiloto.com/2011/02/mostro-di-firenze-il-terzo-livello.html) ma, oltre a Lavorino, anche Francesco Bruno, in questo video, dà un chiaro messaggio in tal senso.
Curiosamente, di molti dei nomi delle persone indagate per la vicenda, addirittura di alcune delle persone sotto processo insieme a Calamandrei, non c’è traccia.
Sarà impossibile sapere dai giornali chi è il famoso avvocato coinvolto insieme a Calamandrei e accusato di essere uno dei mandanti dei delitti. Eppure la posizione di questo misterioso avvocato sarebbe fondamentale; perché sua moglie (Emilia A., nei giornali compaiono solo le iniziali) denunciò il marito (per averlo sentito dire “sono il mostro” e per altri particolari), e il Gides appurò che la moglie aveva affittato una casa a Calenzano proprio alla famiglia Cambi (La Nazione, 16.12.2004).
Due pesi e due misure quindi (Calamandrei dato in pasto ai giornali, l’avvocato invece protetto rigorosamente dalla privacy) di cui non si capisce la ragione.
6. I libri misteriosi e i film.
Poi c’è il “mistero dei libri”.
Thomas Harris scrive nel 1988 “Il Silenzio degli innocenti”. Nella sua cella Hannibal ha un disegno di Firenze e dirà alla protagonista di aver mangiato un fegato umano, bevendoci un “buon Chianti”. E San Casciano, la patria dei compagni di merende è, appunto, nel Chianti.
Una coincidenza inquietante.
Successivamente scriverà il romanzo “Hannibal” dove il protagonista Hannibal Lecter che, guarda caso, è un esperto di Dante, uccide il commissario Pazzi, che nel romanzo è il commissario che indagava sul Mostro di Firenze. Sembra quasi un messaggio a Giuttari che dica: “sei pazzo ad indagare”.
E Hannibal terrà una conferenza a Firenze, parlando dell’impiccagione, e della fine che fanno i traditori, facendo riferimento a Giuda e a Pier della Vigna.
E il libro si chiude con questa frase che, di per sé, non c’entra nulla col romanzo, ma il cui significato è chiaro: “occorre fermarci qui, se vogliamo continuare a vivere”. Dal libro Hannibal viene tratto un film in cui compare una variante; Hannibal regala alla moglie del commissario Pazzi non uno spartito, ma il primo sonetto della “Vita Nova” di Dante.
Una delle due vittime del primo delitto del Mostro si chiamava Pasquale Gentilcore.
Risultò che Francesco Bruno aveva compilato un dossier già negli anni ottanta in cui la pista esoterica era stata indicata, e tale dossier non venne mai consegnato alla magistratura; nonostante ciò Bruno insiste ufficialmente a parlare di killer isolato.
Il libro “Coniglio il martedì” è un messaggio a uno degli inquirenti, per costringerlo a fermarsi. In qualunque caso, anticipa alcuni degli scenari che sarebbero venuti fuori solo successivamente.
Il film uscì nelle sale il 22 ottobre del 1994, cioè 13 anni esatti dopo l’omicidio di Susanna Cambi e Stefano Baldi, uccisi a Calenzano il 22 ottobre del 1981.
Nonostante Benigni sia proprio di Calenzano, non si è accorto della macabra coincidenza.
E nonostante sia un esperto di Dante, non si è mai accorto che la Divina Commedia è un’immensa epopea Rosacrociana, ove nel paradiso i santi sono assisi sul trono in forma di Candida Rosa.
Forse è tutto una coincidenza.
Ma forse il film è un messaggio. A mio parere è il segnale del cambiamento, l’ordine alla stampa di cambiare atteggiamento e iniziare a deridere gli inquirenti (la data di uscita è infatti esattamente tredici anni dopo l’omicidio, e il 13 è il numero della morte e del cambiamento; e la vittima si chiama Cambi; quindi a mio parere è un messaggio in codice in tal senso).Ora, di recente, è uscito il libro “Cui Prodest”, di Alessandro Bartolomeoli. Ho parlato personalmente con l’autore. Dice che non sapeva nulla del mio blog né conosceva la Carlizzi. Però l’autore doveva conoscere molto bene i giornali dell’epoca, perché la sua tesi, quella del collegamento tra i delitti del Mostro e la strage di Bologna e Piazza della Loggia è identica alla tesi del legale di Pacciani, Fioravanti. E nel romanzo c’è scritto chiaramente che il libro si ispira alla realtà.
A fronte di questi fatti, la tesi del serial killer è semplicemente demenziale.
In sostanza la tesi sarebbe questa:
Esiste un individuo abilissimo, bravo nel maneggiare le armi ed esperto in tagli di pubi e seni, che ogni tanto, di notte, se ne è andato in giro per campagne toscane uccidendo coppiette.
Non è solo abilissimo ma anche fortunatissimo, perché compiere delitti del genere significa sporcarsi di sangue dalla testa ai piedi; ma lui dopo gli omicidi è salito in auto, sporcando tutta la macchina, si presume, ma è riuscito sempre a tornare a casa senza che nessuno lo fermasse o lo vedesse.
Inoltre, oltre ad essere un tipo fortunato, deve essere velocissimo a muoversi in ogni parte d’Italia per uccidere testimoni, personaggi scomodi, ecc… In alternativa si potrebbe pensare che sia un mago, che riesce sempre a far morire di cause naturali coloro che in qualche modo potrebbero dare importanti informazioni alla polizia.
Inoltre questo tipo deve avere un aspetto terribile; perché riesce a terrorizzare anche i testimoni oculari al delitto, come Spalletti, o come Vinci, i quali dichiarano che non parlano per paura. Quindi, bisogna dedurre, questo maniaco ha anche il dono di attraversare i muri e potrebbe uccidere qualcuno in una cella (Spalletti era in cella, infatti, quando non parlava per paura).
Sempre perché è un tipo particolarmente fortunato, le linee telefoniche e l’elettricità vanno in tilt proprio quando lui sta per agire.
Spedisce lettere anonime ai magistrati con lembi di pelle, bossoli, ecc., e gli va sempre bene.
Essendo poi un gran burlone, organizza lo scherzo della Cappella del Commiato, e anche lì ha la fortuna di agire proprio durante i black out di corrente riuscendo a farla in barba al Gico.Ovviamente, in tal caso ci sarebbe da dire che gli investigatori che si sono occupati del caso, da Canessa a Giuttari a Mignini, sono degli incapaci che non avendo nulla da fare tutto il giorno e probabilmente anche annoiandosi un po’, invece di organizzare partite a tennis si dedicano all’arresto e/o all’indagine di personaggi come questori, poliziotti, avvocati, magistrati, giornalisti, ecc… E al fine di trovare un capro espiatorio, un bel giorno si sono messi d’accordo e hanno incastrato Pacciani che era un agnelluccio, pagando i testimoni contro di lui e orchestrando le prove.
Non paghi di aver incastrato solo Pacciani, hanno deciso di incastrare anche Vanni, Lotti, Calamandrei e compagnia bella. Qualcuno è finito in galera, qualcuno no.
Peraltro, divertendosi un mondo ad accusare a destra e a manca, un giorno hanno deciso di indagare anche persone legate ai servizi segreti; in altre parole, a Giuttari piace il rischio e ama sfidare la morte, quindi decide di ficcare il naso nel settore più pericoloso che esista.
Ci sarebbe da domandarsi, se questa è la versione ufficiale, come mai gli investigatori in questione non siano mai stato internati in un ospedale psichiatrico.
Invece, per noi complottisti, le conclusioni sono queste.
Le vittime venivano individuate in vari modi ma uno è probabilmente questo: quando finivano nel giro di Salvatore Indovino, questi come filtro d’amore prescriveva di indicargli il giorno l’ora e in luogo in cui la coppia si sarebbe appartata per fare l’amore.
In tal modo la coppia veniva scelta.
Ad un certo punto l’organizzazione decide di sacrificare “Pacciani” che sia per il suo nome, sia per il suo ruolo, era già predestinato a questo. Ecco spiegato come mai giunge l’asta portamolla e come e perché viene ritrovato il bossolo nell’orto di Pacciani.
Quando però l’intuito di Giuttari arriva a individuare i mandanti l’inchiesta si ferma; la Rosa Rossa schiera in campo il suo esercito di scrittori, giornalisti, magistrati, ecc… e tutto finisce in un gran caos in cui tutti accusano tutti, tutti indagano su tutti, e ciascuno accusa l’altro di depistaggio, ignoranza e protagonismo.
Giuttari decide di scrivere romanzi e affida alla penna il suo lavoro, per diversi motivi. Primo, perché capisce che l’organizzazione è troppo potente per essere sconfitta per via giudiziaria.
Questa ricostruzione viene da Mario Spezi, uno che, appunto, è stato accusato di essere uno dei mandanti di questi delitti.
9 Bibliografia.
La ricostruzione sintetica di questi anni è stata possibile grazie all’immenso lavoro di ricostruzione cronologica dei giornali effettuata da Gabriella Carlizzi nel suo recente lavoro “Il Mostro a Firenze”, Mond&editori srl).
Mi sono ovviamente avvalso anche dell’interessantissimo libro di Giuttari “Il mostro, anatomia di un’indagine”, e del libro “Dolci colline di sangue” di Mario Spezi.
Uno dei libri più completi, ma brevi al tempo stesso, per chi voglia farsi un’idea della vicenda è quello di Massimo Polidoro, “Cronaca nera”, ed. Piemme. Il libro definisce “deliri che non potrebbero andare bene nemmeno per un horror di serie B”, le tesi esoteriche della Rosa Rossa, ma nonostante questo limite intellettuale è uno dei libri più completi di dati e avvenimenti. L’autore infatti ha il pregio di riportare anche le tesi da lui ritenute deliranti dimostrando obiettività e intelligenza.
Preciso che il fatto di aver detto che qualcuno è stato accusato di aver depistato o di essere tra i mandanti, non significa che lo ritenga coinvolto.
Chi segue questo blog sa che anche io, tempo fa, venni accusato insieme a Fabio Piselli di aver depistato l’indagine e a quanto pare mi beccai una denuncia, poi ritirata, da Gabriella Carlizzi, che accusò me e Fabio di aver addirittura occultato prove riguardo ai feticci del Mostro di Firenze.
E’ una legge del contrappasso che chi si occupi del Mostro, venga prima o poi accusato di essere il Mostro o di aver inquinato le indagini.
In questo sito v. anche:
Il mostro di Firenze, quella piovra che si insinua nello stato
http://petalidiloto.com/2007/12/il-mostro-di-firenze-quella-piovra-che.html
Il mostro di Firenze. Una nuova ipotesi sul movente
http://petalidiloto.com/2009/11/il-mostro-di-firenze-una-nuova-ipotesi.html
Il mostro di Firenze: il terzo livello
http://petalidiloto.com/2011/02/mostro-di-firenze-il-terzo-livello.html
PS. La vicenda del Forteto ha avuto poi notevoli sviluppi, a livello sia giudiziario che politico.
Samuele burlamacchi
2 Dicembre 2014 @ 16:25
L'Italia è il paese dove innocenti, almeno per quegli specifici reati attribuitigli, come Mario Vanni vengono condannati all'ergastolo, mentre i veri colpevoli la fanno franca; quindi doppia ingiustizia. Tripla, se si pensa alla presa in giro verso i familiari delle vittime. Samuele da Urbino
Anonimo
10 Gennaio 2015 @ 1:04
E il pittore svizzero……
Anonimo
24 Novembre 2015 @ 0:04
interessante tra l'altro notare quando Spezi parla del "fermaporte" come viene da lui definito, che viene invece identificato da Giuttari come "piramide tronca": il primo la colloca dietro la porta appunto, mentre Giuttari dice di averlo trovato nel camino…
Anonimo
30 Maggio 2016 @ 22:00
Solo una nota sul commissario Pazzi del romanzo Hannibal. Il riferimento simbolico va oltre il "sei pazzo a indagare su questa pista" rivolto a Giuttari. Mi pare invece più chiaro e pregnante il riferimento alla congiura dei Pazzi, che volevano rovesciare il potere dei Medici a Firenze, il potere di Lorenzo il Magnifico, sovrano illuminato per antonomasia. Congiura che finì con la sollevazione, non prevista dai congiurati, del popolo contro gli stessi Pazzi, e con l'uccisione non solo di tutti i congiurati ma anche di altri membri della casata dei Pazzi benché innocenti.
La traduzione di tale simbolismo appare come una minaccia precisa e volutamente orrorifica che va ben oltre un generico "sei pazzo". Suona piuttosto come: "Se credi di poter rovesciare il nostro sistema di potere farai la fine dei Pazzi. Verrai ucciso tu e sarà sterminata la tua famiglia, e alla fine noi saremo comunque acclamati dal popolo".
Conillo Sarvatico
10 Agosto 2017 @ 17:39
Tutto interessantissimo me lo sto studiando con attenzione da tempo. Un appunto però: Benigni non è di Calenzano, ma di Castiglion Fiorentino
SB
26 Dicembre 2017 @ 10:27
Ottimo articolo, che tra l’altro avevo già letto; solo un paio di precisazioni in merito; il noto avvocato ,di cui sopra, era tal Giuseppe Iommi, console onorario di Finlandia a Firenze, fino al 2003 ( con tanto di passaporto diplomatico ) , amico , coetaneo e compagno di università di Piero Luigi Vigna ed appartenente alla Concordia. La signora Emilia Maria Alves, criminologa brasiliana residente a Firenze, non era sua moglie bensì la sua amante, la quale si rivolse al magistrato Francesco Fleury dopo l’ultimo duplice omicidio degli Scopeti, accusando il suo “amico ” di essere il mostro. La cosa strana è che di questo personaggio la stampa non fa mai il nome, ad eccezione di un articolo apparso sul corriere dell’Umbria, nel 2005, quando l’avvocato fu interrogato dal pm Giuliano Mignini, in relazione alla sua presunta amicizia con Francesco Narducci. Naturalmente Iommi disse di non aver mai detto alla Alves quanto da lei affermato e di non aver mai conosciuto il dottor Narducci. La cosa finì lì.