Articolo di Solange Manfredi pubblicato sulla rivista Diritto, Politica & Società, n. 1
La vita umana non ha significato che nella misura in cui sia posta al servizio di qualcosa di infinito… l’infinito è l’umanità.
Tutto il resto è finito, e lavorare per ciò che è finito, non ha senso.
Leon Trotsky
L’uomo… considerato come persona… è al di sopra di qualunque prezzo.
Immanuel Kant (metafisica dei costumi)
Cesare fui e son Iustinïano, che, per voler del primo amor ch’i’
sento, d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano.
sento, d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano.
Dante, Divina Commedia Paradiso, Canto VI, 12
Hominum causa omne jus constitutum est[1]
Giustiniano
Tortura e diritti umani nel diritto internazionale
E’ di pochi giorni fa la diffusione del rapporto della Commissione Intelligence del Senato americana: “che ha indagato 5 anni sui metodi utilizzati dalla Cia con i terroristi catturati dopo l’11 settembre… il rapporto parla di «inganni, disonestà e brutalità»” ed accusa “l’Agenzia di essere colpevole di brutalità non ancora denunciate”.[2]
Il rapporto nella sostanza afferma che:
- La Cia ha dato informazioni inesatte (cioè ha mentito) alla popolazione ed ai parlamentari americani sul programma inerente le tecniche dei c.d. interrogatori rafforzati, eufemismo per definire le torture inflitte ai prigionieri;
- Le torture praticate sui detenuti si sono rivelate inefficaci, vale a dire: non sono servite a nulla (ma che la tortura non serva lo si sa sin dalla pubblicazione nel 1764 del libro di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene);
- Tra le vittime che avrebbero subito torture, una su cinque era tenuta in stato di detenzione per sbaglio, ovvero per un “errore di identità o a causa di cattive informazioni di intelligence”.
Alla pubblicazione del rapporto il Presidente Obama rilascia un comunicato in cui afferma: “Si spera che il rapporto aiuti a lasciare alle spalle questi metodi, che sono contrari e incompatibili con i valori del nostro Paese”.[3]
Ma l’affermazione è riduttiva. La tortura non è solo contraria ai valori americani ma: “costituisce l’aspetto più macroscopicamente crudele e patologico dell’assenza di democrazia: la totale mancanza di rispetto per la dignità della persona. Democrazia significa rispetto della dignità della persona; tortura significa umiliazione o annientamento di quella dignità”. [4]
Proprio per questo il divieto di tortura, che ha costituito il fondamento delle principali statuizioni internazionali dal 1948 in poi[5] e nel 1984 è stato oggetto di specifica Convenzione[6] è assoluto ed inderogabile. Ciò vuol dire che nessuno Stato può sollevare giustificazioni o circostanze attenuanti per aver commesso tale crimine, neanche in caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale”. [7]
Eppure, nonostante ciò, secondo Amnesty International, su 192 Stati, ben 132 è provato che esercitino la tortura; tra questi anche l’Italia dove la tortura, in alcuni casi, è stata riconosciuta come sistematica.[8]
Ma se questa pratica è condannata dal diritto internazionale perché gli Stati continuano tranquillamente a praticarla sicuri, nella maggioranza dei casi, dell’impunità?
Perché ogni volta che si instaura un giudizio per gravi crimini contro l’umanità, tra cui la tortura appunto, l’indagato/ convenuto chiede gli venga riconosciuta l’immunità dalla giurisdizione straniera.
Immunità degli Stati dalla giurisdizione
La nascita del diritto internazionale si suole datare con la pace di Vestfalia (1648). Una delle sue norme più antiche, espressa con il noto brocardo ‘par in parem non habet iurisdictionem’, concerne l’immunità degli Stati dalla giurisdizione per effetto della quale uno Stato non può essere convenuto in giudizio davanti al tribunale di un altro Stato. A tale norma, nel tempo, si sono affiancate altre leggi consuetudinarie che ne hanno ampliato la portata con la conseguenza che l’immunità non si applica solo agli Stati ma anche alle singole persone fisiche che agiscono in suo nome e ne esercitano la sovranità.
Le immunità riconosciute agli Stati sono di due tipi.
L’immunità personale che ha natura procedurale e viene riconosciuta ad alcuni organi di vertice per il periodo in cui sono in carica (Capo di Stato, Capo di Governo, Ministro degli Esteri, altre persone di alto rango che partecipano ad una missione speciale, personalità di rango ministeriale). La ratio di tale previsione è quella del rispetto della sovrana indipendenza nell’esercizio delle relazioni internazionali. Tale immunità è assoluta, cioè vale anche per gli atti compiuti a titolo privato e non prevede alcuna eccezione, neanche in materia penale.
L’immunità funzionale (c.d. rationae materia) che ha natura sostanziale. Riguarda tutti gli individui organo per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. Sul suo fondamento giuridico, comunque basato sull’uguaglianza sovrana degli Stati. Il comportamento dell’organo è un “atto di Stato” straniero e quindi non riferibile all’individuo che lo ha materialmente posto in essere. Si tratta di una norma generale di diritto internazionale che prevede due eccezioni:
- Quella in cui l’individuo organo non abbia agito per conto dello Stato;
- Quella in cui il soggetto si renda autore di gravi violazioni del diritto di guerra, abbia compiuto cioè crimini di guerra.
All’epoca in cui la regola consuetudinaria dell’immunità si è imposta in ambito internazionale gli individui ed i popoli non avevano alcun ruolo. I rapporti internazionali erano sostanzialmente rapporti tra entità governative, tra Stati. Successivamente invece, ed in maniera sempre crescente, la tutela dei diritti umani è divenuta un principio cardine del diritto internazionale presente nella quasi totalità delle sue statuizioni. Tale sviluppo del diritto internazionale, ed il perdurare di questa immunità per atti che, benché rilevanti nell’esercizio dei poteri sovrani, risultavano quantificabili come crimini contro l’umanità, ha acceso un vivace dibattito dottrinale. Alcuni giuristi, infatti, hanno iniziato ad avanzare dubbi sulla legittimità di applicare l’immunità giurisdizionale in caso di processo per gravi crimini internazionali ed hanno elaborato alcune teorie nel tentativo di configurare, per i casi più gravi, l’esistenza di una deroga alla regola generale dell’immunità dello Stato della giurisdizione:
- Rinuncia implicita all’immunità: La ratifica di un trattato comporta un’implicita rinuncia all’immunità in caso di violazione dei diritti garantiti dallo stesso;
- Perdita dell’immunità: Uno stato che commette azioni che violano i diritti umani si colloca al di fuori del diritto e non può, di conseguenza invocare il diritto a garanzia della propria immunità;
- Gerarchia delle fonti: le norme a tutela dei diritti umani sono norme cogenti (ossia che appartengono allo jus cogens[9]) e, pertanto, superiori gerarchicamente a quelle sulle immunità;
- un atto che viola i diritti fondamentali dell’uomo non può mai rientrare tra le funzioni ufficiali di un Capo di Stato e, pertanto, non può essere protetto dall’immunità;
- Giurisdizione universale: uno Stato ha la facoltà di reprimere fattispecie criminose riconosciute di interesse universale dalla comunità internazionale indipendentemente da dove queste abbiano avuto luogo.
Ma, se queste sono le teorie con cui la dottrina ha cercato di elaborare una deroga alla regola generale, vediamo come la giurisprudenza le ha accolte.
Augusto Pinochet
Nel 1998 Augusto Pinochet viene arrestato a Londra in esecuzione di un mandato di arresto dell’Audencia National spagnola che ne chiedeva l’estradizione per poterlo processare perché accusato di aver ordinato, quando era in carica, che nel proprio paese fossero compiuti gravi atti di tortura.[10]
I legali di Pinochet fanno ricorso contro il mandato d’arresto sostenendo che il loro assistito gode dell’immunità dalla giurisdizione dal momento che gli vengono contestati atti compiuti mentre era Capo di Stato.
La corte inglese accoglie il ricorso riconoscendo l’immunità a Pinochet.
La camera dei Lord rovescia tale decisione sostenendo che Pinochet non può beneficiare dell’immunità dalla giurisdizione di fronte ad accuse di torture.
La decisione viene nuovamente ribaltata con una sentenza che, il 25 novembre 1998, riconosce all’ex dittatore l’immunità ma, il 24 marzo 1999, la camera dei Lord nega nuovamente l’immunità all’ex dittatore cileno.
L’estradizione comunque non viene concessa per motivi di salute e Pinochet viene liberato.
A sostegno del diniego dell’immunità a Pinochet i giudici hanno utilizzato principalmente tre argomenti:
- Il carattere cogente del divieto di tortura rende questa norma superiore a quella dell’immunità;
- un atto di tortura non può mai rientrare tra le funzioni ufficiali di un capo di Stato;
- La convenzione contro la tortura prevede (artt. 5, 7 e 8) la giurisdizione universale con la conseguenza che, a meno di incorrere in un paradosso giuridico, gli organi sospettati di aver compiuto atti di tortura non possano venire protetti dall’immunità;
Negli anni successivi, sulla base di queste argomentazioni a sostegno del diniego di immunità, altri procedimenti vengono aperti nei confronti di capi di stato, ministri degli esteri, ministri della difesa ecc. accusati di gravi crimini internazionali.
Ma a porre un freno a questi procedimenti intervengono alcune sentenze della Corte internazionale di giustizia.
Sentenza “Mandato d’arresto” della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
Il caso prende le mosse da un procedimento avviato dal Belgio nei confronti di Abdulaye Yerodia Ndombasi, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Democratica del Congo, accusato di incitazione al genocidio e crimini contro l’umanità.
Quando, l’11 aprile del 2000, un tribunale belga emette un mandato d’arresto internazionale in absentia nei confronti di Yerodia che viene trasmesso alle autorità congolesi e all’Interpool, la Repubblica democratica del Congo decide di adire la Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Il Congo chiede alla Corte che venga accertata l’illiceità del comportamento del Belgio per violazione delle norme del diritto internazionale che garantiscono l’immunità ratione personae agli organi di vertice dello Stato.
La Corte dell’Aja, con sentenza del 14 febbraio 2002, si pronuncia in favore del Congo revocando il mandato d’arresto. Per la Corte:
- nessuna norma pattizia pregiudica il rispetto delle immunità previse dal diritto consuetudinario, neanche in caso di accusa per gravi crimini internazionali;
- anche la semplice emissione del mandato di arresto viola tali norme.
La Corte, poi, in successive pronunce (Congo c. Ruanda e Congo v. Francia) ha ampliato ulteriormente le figure che possono godere dell’immunità dalla giurisdizione (storicamente il diritto consuetudinario riconosceva tale immunità dalla giurisdizione a 3 figure: ovvero Capo di Stato, Capo del governo e Ministro degli esteri) facendovi rientrare anche Ministri dell’Interno, della Difesa, del Commercio, ecc… con la motivazione che lo svolgimento delle moderne relazioni internazionali si caratterizza per il ruolo sempre maggiore che viene riconosciuto ad organi di rango ministeriali diversi.
La conseguenza di tali decisioni è stata che gli altri procedimenti avviati contro capi di Stato e Ministri sono stati chiusi perché è stata loro concessa l’immunità:
- Fidel Castro: la Spagna riconosce l’immunità;
- Gheddafi: la Francia riconosce l’immunità;
- Shaul Mofaz, ministro della Difesa dello Stato di Israele: la Gran Bretagna riconosce l’immunità;
- Bo Xilai, ministro del Commercio della Repubblica Popolare cinese: la Gran Bretagna riconosce l’immunità;
- Ronald Rumsfeld, Segretario della Difesa degli Stati Uniti: la Germania riconosce l’immunità;
- Ariel Sharon, Primo Ministro di Israele: il Belgio riconosce l’immunità
Ma, le vittime di questi gravi crimini possono almeno sperare di ottenere un risarcimento in sede civile?
No.
La Corte di Giustizia, con la sentenza del 3 febbraio 2012[11], pone fine ad una controversia[12] tra:
- l’Italia: che sosteneva come le norme sull’immunità dalla giurisdizione non potessero essere applicate in caso di violazioni di norme di jus cogens, di rango più elevato, alle quali appartengono le norme sulla prevenzione e repressione dei crimini internazionali; [13]
e
- la Germania: che sosteneva che disconoscere l’immunità dalla giurisdizione civile nei procedimenti di richiesta di risarcimento del danno per gravi violazioni del diritto umanitario sia contrario alle norme consuetudinarie in materia;
Per la Corte, che accoglie la domanda tedesca, non vi è alcun conflitto tra le norme che riconoscono l’immunità giurisdizionale dello Stato straniero e quelle di jus cogens che vietano la commissione di gravi crimini internazionali, poiché le prime hanno carattere procedurale e, le seconde, sostanziale.
Allora, le vittime, a chi possono rivolgersi per vedere i loro diritti tutelati?
Attualmente a nessuno.
E’ vero che l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali prevede il diritto ad un equo processo, ovvero un diritto di accesso al giudice, mentre l’immunità degli Stati si risolve, nei fatti, in un diniego di giustizia, ma, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza del 21 novembre 2001, ricorso n. 35763/97, Al-Adsani):[14]
–
l’applicazione delle norme sull’immunità, che perseguono l’obiettivo legittimo di mantenere pacifiche relazioni tra Stati, non rappresenta una limitazione sproporzionata del diritto dell’individuo di accedere alla giustizia che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, non è un diritto assoluto.
“Una conclusione davvero assurda. Chiaramente la Corte ha voluto proteggere gli Stati, a danno di una più ampia tutela dei diritti umani”.[15]
Conclusioni
Dunque, ricapitolando:
- gli Stati, che hanno rinunciato all’immunità dalla giurisdizione per quanto concerne le materie commerciali ma non per i diritti umani, hanno completamente riscritto la massima di Giustiniano (il diritto è fatto per tener conto degli uomini e proteggerli[16]) trasformandola in: il diritto è fatto per tener conto degli affari e proteggere il denaro;
- a fronte di questa macroscopica distorsione alcuni giuristi hanno cercato di elaborare alcune teorie per trovare un regime che permettesse di superare lo sbarramento alla responsabilità dato dall’immunità dalla giurisdizione;
- le Corti internazionali sono intervenute affermando, nella sostanza, che le immunità dalla giurisdizione sia penale che civile permangono anche in caso di gravi violazioni dei diritti umani o di crimini contro l’umanità perché il loro scopo è quello del mantenimento di pacifiche relazioni tra Stati, obiettivo che non rappresenta una limitazione sproporzionata del diritto dell’individuo, vittima di tali crimini, ad ottenere giustizia.
Aveva proprio ragione Antonio Cassese quando affermava che:
“Perché le istituzioni più importanti per la tutela dei diritti umani a livello internazionale possano funzionare efficacemente ci dovrà aspettare una nuova generazione di procuratori e giudici”.[17]
[1] Il diritto è fatto per tener conto degli uomini e proteggerli.
[2] Rapporto sulla tortura: dalla Cia compiuti «inganni e brutalità», in http://www.corriere.it/esteri/14_dicembre_09/rapporto-tortura-cia-compiuti-inganni-brutalita-514117d6-7fbf-11e4-92ce-497eb7f0f7a3.shtml
[3] Ibidem.
[4] Antonio Cassese, I diritti umani oggi, editori Laterza, 2005, pg. 174. Oltre a ciò, per porre l’accento su ciò che il diritto non può e non deve fare, appare opportuno evidenziare come gli Stati Uniti, che praticano la tortura in modo sistematico, nel 1996 abbiano emesso Antiterrorism and Effective Death Penalty Act, una legge che legge prevede un’eccezione all’immunità dello Stato nel caso in di gravi violazioni dei diritti umani, ma solo qualora l’azione sia proposto da un cittadino statunitense contro uno degli Stati che il Dipartimento di Stato americano considera sponsor del terrorismo. Insomma se a torturare sono paesi democratici l’immunità vale, se sono paesi che l’America non considera democratici allora l’immunità non vale. Inutile commentare questo tipo di ragionamento che mi rifiuto di definire giuridico, mi limito a ricordare che quando si parla di diritti umani si fa riferimento a due concetti fondamentali strettamente e indissolubilmente legati l’uno all’altro: il concetto di eguaglianza di tutti gli esseri umani e il concetto di dignità della persona umana.
[5] 1948: la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite; 1949: le Convenzioni di Ginevra; 1950: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa; 1956: la Convenzione supplementare delle Nazioni Unite sull’abolizione della schiavitù, del commercio di schiavi e sulle istituzioni e pratiche assimilabili alla schiavitù; 1957: le Regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei prigionieri; 1965: la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale; 1966: il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite; 1975: la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla protezione di tutte le persone sottoposte a tortura o altri trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti; 1977: i due Protocolli addizionali alle Convenzioni di Ginevra; 1979: il Codice di condotta delle Nazioni Unite per i funzionari che applicano la legge; 1981: la Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli dell’Organizzazione dell’Unità Africana; 1982: i Principi di etica medica relativi al ruolo del personale sanitario, in particolare medici, nella protezione dei prigionieri e dei detenuti contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite, ecc… sino allo Statuto di Roma del 1998.
[6] http://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19840309/201211060000/0.105.pdf
[7] La portata assoluta della proibizione è sancita dall’art. 7 della convenzione dalla carta europea dei diritti dell’uomo, nonché dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) che, se all’art. 4 prevede il diritto di adottare misure in deroga ai diritti tutelati dall’ICCPR in caso di “pericolo pubblico eccezionale, che minacci l’esistenza della nazione e venga proclamato con atto ufficiale”. Il paragrafo successivo, però, si affretta ad aggiungere che “la suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6, 7 (Tortura), 8 (paragrafi 1 e 2), 14, 15, 16 e 18”. In altri termini, nel panorama europeo ed internazionale il divieto di tortura viene annoverato tra quelli assoluti, pienamente vigenti anche nelle situazioni di estrema emergenza.
[8] Cass., sez. VI, sentenza 27 luglio 2012, n. 30780.
[9] Secondo la definizione contenuta nell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, si tratta di norme imperative che poste a tutela di valori considerati fondamentali sono accettate e riconosciute dalla comunità internazionale degli Stati quali norme cui nessuna deroga è consentita e che possono essere modificate solo da nuove norme di diritto internazionale generale della stessa natura.
[10] La Spagna, come anche il Belgio, aveva introdotto nel codice penale (Ley organica) un articolo che stabiliva, per alcuni gravi crimini internazionali, la competenza della magistratura spagnola a procedere sulla base del criterio della giurisdizione universale pura, ossia senza che fosse necessaria la sussistenza di uno dei tradizionali criteri di collegamento (la nazionalità attiva o passiva dell’autore o della vittima del reato, o il locus commissi delicti). Entrambi gli Stati, successivamente a causa delle forti pressioni internazionali, hanno modificato la legge in senso restrittivo introducendo i citati criteri di collegamento.
[11] CIJ, Immunités Juridictionnelles de l’Etat, Allemagne c. Italie, 3 febbraio 2012.
[12] Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 5044/04. Con atto notificato il 23 settembre 1998, il signor Luigi Ferrini conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Arezzo, la Repubblica Federale di Germania per gravi violazioni del diritto umanitario, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti per essere stato catturato in provincia di Arezzo, il 4 agosto 1944, da forze militari tedesche e, quindi, deportato in Germania per essere utilizzato presso imprese tedesche quale lavoratore “forzato”.
[13] Peccato che la Corte, la stessa Corte, non abbia adottato la stessa argomentazione giuridica quando, citato per rispondere di gravi crimini, è stato il nostro paese: “dieci cittadini serbi avevano iniziato un’azione civile in Italia contro le autorità italiane per il bombardamento della stazione televisiva di Belgrado ad opera delle forze Nato. I tribunali italiani avevano dichiarato che non sussisteva giurisdizione in Italia perché gli atti delle forze aeree italiane costituivano la manifestazione di una funzione pubblica, sottratta dunque alla giurisdizione dei tribunali italiani. I serbi ricorsero alla Corte europea che diede ragione all’Italia: “anche in questo caso la Corte ha prestato ossequio alla sovranità dello stato facendo prevalere la raison d’État sui diritti umani… La Corte di Cassazione che ha respinto la domanda dei 10 serbi “…è la stessa Corte di Cassazione che … ha invece affermato che i crimini di guerra commessi dai nazisti contro gli italiani durante la Seconda guerra mondiale non sono sottratti alla giurisdizione italiana; dunque la Germania può essere convenuta in giudizio per risarcire il danno e inoltre i colpevoli dei crimini possono essere processati dai nostri giudici. Due pesi e due misure dunque”. Antonio Cassese, 2011, pg. 96-97.
[14] Un cittadino inglese, Al-Adsani, arrestato e torturato in Kuwait, rientrato in patria cita in giudizio lo sceicco e lo Stato del Kuwait per ottenere il risarcimento del danno. La domanda di Al- Adsani viene respinta perché le corti inglesi riconosco al Kuwait l’immunità dalla giurisdizione. Al-Adsani ricorre quindi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 6, co° 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ossia per diniego di giustizia.
[15] Antonio Cassese, L’esperienza del Male, il Mulino, 2011, pg. 96.
[16] Hominum causa omine ius costitutum est.
[17] Antonio Cassese, L’esperienza del Male, Ed. il Mulino, 2011, pg. 220.
Indice rivista n. 1
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