Nel corso della mia vita mi sono in genere limitato ad osservare il mondo e cercare delle spiegazioni. Non ho mai dato giudizi, e ho cercato in genere di non avere pregiudizi. Ma una cosa che non avevo mai capito, in tutti questi anni, è come mai molti parenti delle vittime degli omicidi di cui mi sono occupato non avessero alcuna voglia di sapere la verità. Continuano la loro vita ordinaria, come se nulla fosse (il top fu quando telefonai ad una donna il cui marito era stato condannato per l’omicidio dell’amante, scoprendo le prove della sua innocenza: “avvocato, può telefonarmi domani, ora c’è la partita” mi disse).
Peggio ancora quei parenti che sfruttano la notorietà del caso solo per andare in televisione, fregandosene della verità (del resto, in genere ho sempre capito che anche prima della morte, se ne fregavano del figlio o del parente ucciso).
La comprensione mi è arrivata dopo aver letto un post di Sara Ascoli, che trascrivo.
Sono persone che hanno paura della morte. E dicono a se stesse: ho paura di morire. Ne ho così paura che preferisco non vivere e prepararmi alla morte. Non voglio vederla arrivare. Non voglio sentirla. Voglio che tutto sia uguale a ogni giorno. Ecco perché non vivo. Così la morte non mi spaventerà. Si confonderà con quello che faccio o non faccio, che sono o non sono. Se tutto è uguale e spento per me, se tutto è senza senso, della morte non mi accorgerò nemmeno.”
E quindi, aggiungo io, non si accorgono neanche della morte del loro parente, e, anzi, la utilizzano per altri fini.
E’ stata una folgorazione, che ha cambiato parte della mia vita, perlomeno della comprensione che avevo di essa.
Sempre grazie ai suoi scritti mi è stato permesso di capire un altro mistero: quello delle persone all’ergastolo che, nonostante tu gli dica “possiamo portare le prove della tua innocenza” rispondono “no grazie, in fondo qui sto bene. Ho l’invidiabile condizione di non avere il problema della scelta del lavoro, degli studi, e di dover combattere contro una società che ormai non riconosco più” (parole riferitemi testualmente da uno accusato ingiustamente di essere un Serial killer, presente in tutti i testi di criminologia e dizionari dei serial Killer).
Io, dal mio ingenuo punto di vista, pensavo che dopo uno shock addizionale (in psicologia si chiama così) come quello della galera, o dell’uccisione di un parente, la persona in teoria avrebbe dovuto trovare lo stimolo a fare un lavoro su se stesso e cambiare. Ma in realtà non è cosi.
L’autrice identifica le varie maschere che indossiamo nella vita con il termine ID. Id sta per identità, ma è qualcosa di diverso, perché alle varie identità della persona si sommano anche, in alcuni casi, le entità che la governano. Quindi teniamo i due termini distinti (Id ed entità). Utilizzo le parole dell’autrice.
L’Id è l’idea o immagine mentale di sé è ciò che vogliamo e crediamo di essere. È un abito monocolore che indossiamo a memoria e del quale, spesso non siamo neanche consapevoli. Non lo abbiamo propriamente scelto ma, tra condizionamenti e cecità, abbiamo lasciato che ci portasse nel mondo.
Di fatto non abbiamo mai scelto di sbarazzarcene!
L’idea di sé va dai ruoli famigliari (sono una madre, un compagno, un vedovo) ai titoli (sono un medico); dal genere, all’età; dal credo (sono induista, interista, comunista), all’idealizzazione di un tratto di personalità (sono timido, buono, rabbioso, onesto; sono fatto così; non dico, non faccio, non penso; non sono così o colì).
L’id è un’immagine che difendiamo a spada tratta e per la quale sacrificheremmo ogni cosa. Di fatto è l’altare su cui sacrifichiamo la nostra energia vitale e la nostra vita.
In quanto idea e non realtà, necessita di continui apporti energetici: non sta in piedi da sola e, pertanto, ci induce a tagliare fuori dalle nostre esistenze tutto ciò che la metterebbe in crisi, che ne contraddirebbe la minima, apparente coerenza; ci induce a predare energia da noi stessi e dagli altri per approvvigionarsi risorse; ci induce anche a farci un’immagine mentale di come sia il mondo o come dovrebbe essere.
Le idee di noi stessi le creiamo, seppur inconsapevolmente, per cui non ci sembra mai di averle scelte ma, a ben vedere, le agiamo ininterrottamente come un copione in loop.
Le entità parassite sono di diverso tipo e natura: hanno scopi differenti; origini differenti e effetti differenti.
Queste non le creiamo noi (a meno che non si tratti di magia nera: peraltro esistono numerosi inconsapevoli praticanti di magia nera!). Le entità si nutrono anch’esse della nostra energia per cui fanno di tutto per provocare in noi emotività di ogni sorta. Per l’id non c’è quest’ultimo obiettivo: ciò che vuole è confermare se stessa.
Le entità sono follemente attratte dalle id: essendo le id delle scatole vuote, mere apparenze, le entità amano viverci dentro. Le id sono per le entità come gli scatoloni di cartone in cui si vedono spesso dormire i senzatetto.
Pertanto, ogni id ospita un bel po’ di entità che hanno, conseguentemente, uno spiccato interesse a che l’id rimanga in vita: ci abitano!
L’id costringe la persona a una visione di sé e del mondo coerente con la propria immagine mentale: si tratta comunque di una percezione artefatta con tutte le conseguenze del caso. L’entita’ opera direttamente sulla percezione dell’ospite, deformandola, per nutrirsi dell’energia prodotta dal caos in cui getta la persona.
Anche l’entita’ come l’id costringe la persona a condotte mirate.
A differenza delle id, le entità possono essere inviate (fatture, catene) da altre persone o da altre entità! Ed è propriamente questo il caso più diffuso quando c’è un omicidio rituale; alle persone coinvolte nella vicenda (siano esse i parenti delle vittime, o i capri espiatori in carcere) vengono inviate, tramite magia nera od operazione di manipolazione mentale, delle entità parassite che ne manipolano la personalità, i pensieri, le azioni, e i sentimenti.
L’entita’ ha un effetto immediato: nel giro di pochi secondi un conoscente notoriamente brillante diviene ottuso, ad esempio: ma non ne sarà mai consapevole. Vi sembrerà di avere di fronte un’altra persona.
Venendo quindi alla parte pratica, alcune delle persone coinvolte, prima della tragedia, avevano un Id molto debole, e che a loro non piaceva. Nicola Sapone, ad esempio, al mio primo colloquio con lui, si definì “un delinquente”; quello era l’ID che aveva di se stesso. Dopo il carcere, ha studiato, è stimato, apprezzato da chi lo conosce (è un ragazzo addirittura dolce, un controsenso per l’immagine che hanno dato di lui, del brutale Serial Killer che ha pisciato sul cadavere del suo miglior amico, dopo averlo ucciso con 80 martellate) e ha acquistato un nuovo ID.
In alcuni casi, ho conosciuto assassini che non erano affatto tali; ma dopo una vita da nullità, si sono ritrovate ad essere star degli schermi, temuti da tutta Italia, in alcuni casi dal mondo; e questo nuovo ID, gli piace, li fa sentire potenti. E non se ne vogliono sbarazzare.
In sintesi, queste persone sostituiscono il loro vecchio ID con un nuovo ID, per loro più piacevole, creato apposta per loro da chi li manipola.
Da notare che lo stesso meccanismo degli ID, e delle entità, valgono per magistrati, criminologi, avvocati, giornalisti, ecc. Per tutti costoro, vale il principio della conferma del loro ID su quello della ricerca della verità, ma qui il discorso si fa più complesso perché si innesta con i fenomeni di corruzione, mafia, massonerie deviate ecc. per cui molti di questi operatori sono ben consapevoli di ciò che fanno, quando addirittura non sono loro i responsabili degli omicidi sui cui indagano (posizione che è la migliore per garantirsi l’impunità da certi delitti).
Ora, dal momento che il mio scopo, nella vita, è sempre stato capire il mondo, e quindi cercare la verità, quando ho capito il meccanismo, non solo giudiziario, ma anche psicologico, dietro a queste vicende, per me la cosa ha perso di interesse e non me ne occupo più.
Tuttavia alcune domande ho sempre continuato a farmele, e alcune risposte le ho trovate nei libri e nei post di Sara.
Altre continuano a ronzarmi in testa ma non so se avrò mai la risposta.
Nel corso di questi anni in soli tre casi ho trovato delle persone per le quali la ricerca della verità ha prevalso sui tentativi di corruzione, intimidazione, e manipolazione, perché sono rimaste pure, incorrotte, sempre presenti a se stesse nonostante le immani difficoltà: Luciano Malatesta, la cui famiglia è stata letteralmente sterminata nella vicenda del Mostro di Firenze, ma che si è sempre posto come obiettivo quello di capire, non solo il mondo ma se stesso (come me); Erika e Marisa Cervia, che per me e Stefania sono diventate come una famiglia e che non hanno mai smesso di cercare la verità su Davide Cervia, e con i quali continiamo a cercarla insieme. E Laura, la madre di Alice Bros, uccisa a 16 anni nei bagni di una stazione, che non a caso è un antroposofa, e cerca il significato spirituale della vita, avendo capito che quello materiale è solo un’illusione.
Perché per me, l’amicizia, come l’amore, è un prendersi per mano, e fare insieme un percorso. Non necessariamente tutta la strada, ma è un percorso in cui ogni tanto le strade si incrociano, e ci si prende per mano per un tratto; anche perché, come disse Charles Manson al processo, andiamo tutti nello stesso posto. E con queste persone ogni tanto, camminiamo ancora per mano, sapendo che la meta è la stessa.
andy
1 Settembre 2023 @ 5:10
Ogni tanto un ritorno di Paolo a queste perle di saggezza ravviva il blog.
maria
1 Settembre 2023 @ 9:48
Io insisto. Sono morti degli operai travolti da un treno mentre saldavano delle rotaie. Erano cinque, un caso. Uno di essi, Michael Zanera, aveva detto, nel suo ultimo post prima di morire, che aveva avuto un segno dal cielo: saldando gli era apparso una croce fra le scintille e l’ha fotografata e pubblicata.
Michael : quis ut Deus.
San Michele ci aiuti e protegga tutti.
Dovrò camminare sui sentieri degli antichi pellegrini
Maria
14 Settembre 2023 @ 10:12
Ciao Paolo, cosa ne pensi dell’omicidio di Marco Vannini?secondo me e’ un omicidio rituale. Sbaglio?
Anna
15 Settembre 2023 @ 17:17
La questione maschere è talmente importante che lo sciamanismo tra le sue tecniche più potenti ha proprio quella del costruirsi una maschera- anche semplicissima coi materiali più poveri e riciclati-indossarla e fare esercizi specifici di fronte allo specchio. Ne viene fuori di tutto, e a chi fa questa tecnica dà la consapevolezza di come ogni maschera che indossa sia solo un costrutto sociale e del proprio ego.
Solo chi fa un percorso spirituale serio arriva un giorno a rispondere alla domanda “chi sei tu?” con “sono, e basta”. Sapendo cosa sta dicendo nel profondo.
Una volta compreso che noi non esistiamo se non come ologramma e interpretazione della nostra parte coscienziale siamo più liberi, anche se poi da lì si deve procedere con lo scardinamento metodico e definitivo di ogni singolo programma mentale, i più difficili sono quelli ricevuti da bambini, e in molti casi essi distruggono letteralmente la vita alle persone.
Ma non ci si illuda neanche per un secondo che le maschere possano essere eliminate. Mi fanno sempre molto sorridere quelli che invocano sincerità nei rapporti, appunto “senza maschere”.
Non esiste. Noi siamo persone, e in quanto tali maschere, dal greco antico.
Non siamo e non saremo mai noi stessi nemmeno vivendo soli sulla cima di una montagna per 50 anni. Non è previsto, perché siamo Matrix, un suo prodotto.
La parte divertente del praticante sciamano arriva però quando avendo compreso che tutto è illusione ma essa è persistente come diceva Einstein, usa le maschere consapevolmente per abbattere il suo stesso ego e tenerlo a cuccia, e anche per osservare e comprendere meglio il mondo che lo circonda -e che egli stesso ha manifestato.
Tutto discende sempre solo da un fattore: la mancanza di consapevolezza.
E avere paura di morire, cioè di qualcosa che ognuno di noi sa perfettamente che accadrà ad un certo punto della sua esistenza, ma che è pura illusione, ce l’ha nel DNA proprio, è l’inconsapevolezza più grande al mondo.
Maria
2 Agosto 2024 @ 7:59
E no. Tutte quelle scritte al cimitero del Verano. Ma questa volta l’interpretazione sul caso Orlandi non ve la do.
I soliti angeli funerari, i soliti colori, ma la verità sta sempre in Dio.
E non c’entra il portiere. Fine
Maria
2 Agosto 2024 @ 8:15
Oggi è il 2 agosto 2024 guardiamo al 19 agosto