di Solange Manfredi
“Ma il 41-bis, dottore, fu uno strumento proprio per distruggere la malavita organizzata. Perché io le spiego solo in sintesi, dottore: io, nelle carceri, senza il 41bis, può darsi che avevo più cose nel carcere, che fuori in libertà. Io, nella ultima detenzione senza il 41-bis, le posso dire ci avevo due telefoni cellulari, una pistola in carcere, cocaina, whisky, champagne, aragoste, arrivavano, dottore, non le dico, non le conto. Non c’erano problemi. Col 41-bis, dottore, tutte queste agevola… chiamiamole agevolazioni, vennero a mancare di colpo, fu un colpo strategico, proprio. Ci presero alla sprovvista tutti quanti. Eh, dottore, deve pensare: uno che c’ha una grossa organizzazione, o che dirige una organizzazione, ha bisogno di colloquiare con l’esterno. Col 41-bis, questo, era impossibilissimo… Sa, tutte queste cose qua, dottore, erano molto brutte nei confronti della malavita organizzata. Un uomo di quarant’anni, cinquant’anni, sessant’anni, decide la vita e la morte della gente, da un giorno all’altro si vede inchiodato e senza fumare più, inizia ad impazzire”.
Negli ultimi 20 anni sono state due le leggi che hanno colpito con maggior efficacia la criminalità organizzata:
1. La normativa sui i collaboratori di giustizia del 1991;
2. l’art. 41/bis dell’Ordinamento Penitenziario, il c.d. “carcere duro del 1992.
La avevano volute fortemente Falcone Borsellino perché sapevano che per mettere in ginocchio la malavita si dovevano fare poche cose, ma concrete: inasprimento delle pene, carcere duro e, per chi collabora, sconti di pena. Non era molto, eppure le loro richieste, semplici e di buon senso, sono state esaudite solo dopo la loro morte.
Ma ciò che è ancora più grave è come queste leggi oggi siano state modificate e così private della loro efficacia.
E’ stato così per la legge sui collaboratori di giustizia. Con la modifica del 2001 oggi al pentito è concesso un tempo massimo di sei mesi per dire tutto quello che sa. Il tempo inizia a decorrere dal momento in cui il pentito dichiara la sua disponibilità a collaborare. Ma come si fa a ricordare, raccontare e mettere a verbale fatti criminosi che possono abbracciare anche decenni prima della collaborazione in soli sei mesi? Con il sovraccarico di lavoro delle procure e la carenza di personale è come avere, nei fatti, abrogato la legge.
Analoga cosa è capitata al carcere duro. Come si evince anche dalla testimonianza di Annacondia il 41 bis, che prevedeva la detenzione in isolamento, era stato concepito per impedire ai mafiosi di continuare a gestire la loro organizzazione. Oggi, invece, il mafioso divide la cella con altri detenuti, usufruisce dell’ora d’aria in compagnia di altri carcerati, fa sport con altri mafiosi, ha colloqui frequenti con i famigliari (cui sono stati eliminati vetri divisori e citofoni) e ha contatti fisici con i figli sotto i dodici anni. Inutile dire che immancabilmente i bambini escono con le mutante stracolme di “pizzini”.
Gli strumenti per distruggere la malavita organizzata sono stati resi inefficaci. Leggi che permettano una efficace ricerca dei loro immensi patrimoni neanche a parlarne. Ma perchè normative che hanno dimostrato la loro efficacia, e la cui validità è stata testimoniata proprio dagli stessi mafiosi sono state modificate? E perché altre, necessarie, non vengono varate? Le risposte a queste domande possono essere molteplici e diametralmente opposte. Ma a molti non sfugge il fatto che numerosi senatori e deputati siano anche difensori di mafiosi, ad esempio gli onorevoli Pecorella, Schifani, Mormino, e altri ancora. Con questo non si vuole in alcun modo affermare che questi abbiano svolto il loro mandato in modo illecito, ovvero abbiano approfittato della loro posizione pubblica per ottenere vantaggi personali. Riteniamo sia però opportuno che il Legislatore risolva, una volta per tutte ed in maniera concreta, la spinosa questione del conflitto di interessi, conflitto che non riguarda solo la categoria degli avvocati, ma tutte le categorie professionali. Il conflitto di interessi è un problema grave che coinvolge la credibilità e la trasparenza della stessa democrazia e che spesso viene confuso. Il conflitto di interessi è una situazione di pericolo, ovvero di contrasto tra interessi (l’uno personale e l’altro collettivo) che faccia temere un danno. Non si prende cioè in considerazione l’azione ma il pericolo. L’azione distorta, che dal conflitto di interessi può derivare, ne è solo la conseguenza, non ha nulla a che vedere con il conflitto. Sarebbe quindi opportuno che fosse al più presto varata una legge che in caso di conflitto di interessi imponga al deputato o senatore di astenersi da qualsiasi attività (proposta, preparazione del disegno di legge e votazione).