Se ascoltassimo davvero l’altro, chiunque altro, ci sentiremmo ripetuti all’infinito in ogni uomo o donna incontrati. Il vero ascolto non può esimersi dal distruggere il senso dell’individualità a cui siamo indottrinati.
Fa che l’altro possa incontrarti attraverso il tuo desiderio di evolvere.
1. Premessa.
2. La condizione dell’uomo.
3. Prima tappa. La nigredo, o opera al nero.
4. Seconda tappa. L’albedo, o opera al bianco.
5. Terza tappa. La rubedo, o opera al rosso.
6. Considerazioni finali.
- Premessa.
Il libro di Sara Ascoli “Cenerentola” è un vero e proprio manuale per arrivare alla fusione col divino, che indica le tappe del percorso alchemico per arrivare a questo risultato. Questo articolo è una sorta di riassunto, in cui utilizzo esclusivamente le parole del libro, assemblate ovviamente secondo un mio criterio personale.
Si tratta, inoltre, di una semplificazione dei contenuti del libro, che per essere assimilato richiede diverse letture e molte riflessioni. E’ in sostanza, un mio personale collage delle frasi del libro (manca ad esempio la fase della cosiddetta citrinitas; o i due moventi fondamentali dell’agire umano, desiderio e paura). Mancheranno quindi parti fondamentali, e in alcuni casi è anche possibile che ne abbia stravolto il contenuto. L’importante, comunque, è che questo articolo sia di stimolo alla lettura, e per alcuni, al cambiamento.
2. La condizione dell’essere umano.
Io incontra il mondo, ma ancora cerca la madre. E, nella constatazione della sua assenza, costruisce la propria grande madre. E’ la religione del conforto, ed ha tante divinità quanti sono gli uomini. Per alcuni la grande madre diventa il cibo, o l’alcool, o la droga, il sesso, lo sport, un culto, la solitudine, il lavoro, un partner, un innamoramento, la rabbia e l’odio contro il prossimo, lo stato di vittima perenne. Persino una malattia può fungere da utero sostitutivo. Qualsiasi cosa può diventare la nostra dipendenza perché ciò che cerchiamo disperatamente è il nostro stato da dipendente.
Qual è la tomba su cui torniamo a piangere ogni giorno? Ecco, è lì che nascondiamo il nostro volto alla luce della coscienza. A questo surrogato di madre affidiamo la nostra paura di non farcela, il proprio rifiuto a crescere, a individuarci, a camminare verso noi stessi.
Uno dei presupposti per fare il percorso che descriverò è il fine; occorre avere veramente il fine di realizzare il progetto divino e comprenderlo; fintanto che si è impegnati a realizzare solo i nostri progetti terreni non si riuscirà mai a effettuare una reale trasformazione interiore che ci radichi nel centro del cuore; non si perverrà neanche ad accogliere la grazia che invita al cambiamento (pag. 96. Questo mi ricorda una frase che ho sentito spesso; l’apertura del cuore è una grazia; l’illuminazione è una grazia, diceva San Tommaso).
L’alchimia, infatti non si fa per se stessi, ma per il pianeta tutto.
Occorre inoltre sentire di essere imperfetti e avere un reale bisogno di cambiare.
Il senso di mancanza è fondamentale. È il ponte tra l’umano e l’Essere. Noi cuccioli umani lo sentiamo come imperfezione, non essere abbastanza: ci sentiamo sempre manchevoli di qualcosa. Quella mancanza è in realtà un desiderio: di unione e fusione con l’Assoluto, la Coscienza, il Divino, l’Essere, la Vita… chiamalo come vuoi. Sono solo nomi e forme.
In noi è mancanza, struggente come il dolore che prova un bimbo che sta per nascere. Sente di morire, in realtà: non riesce nemmeno più a respirare come sapeva e il suo mondo conosciuto crolla e lo scaccia. Aldilà (Aldilà….) si celebra la sua nascita. Sono le due visioni: le due trame del telaio: sotto nodi intricati e sopra il disegno. Il nostro senso d’essere manchevoli è il desiderio che il divino ha per noi (questa frase l’ho presa da un suo commento su facebook).
3. Prima tappa. La nigredo, o opera al nero.
La prima tappa dell’opera è la nigredo (non a caso associata all’ombra, e a tutto ciò che noi respingiamo).
In questa fase bisogna effettuare due operazioni essenziali:
Uno. Riconoscere le maschere che indossiamo nella nostra vita quotidiana. Avvocato, barista, padre, madre, astrologo, insegnante, ma anche persona gentile, premurosa, rabbiosa, colta, intelligente, simpatica, fino alle varie maschere spirituali, le più pericolose perché quasi impossibili da smontare: antroposofo, buddista, musulmano, alchimista, mago, strega, anima guerriera, anima di luce, ecc.
Due. Riconoscere i nostri demoni interiori. Questa operazione è strettamente connessa alla prima e non può da essa essere disgiunta. Riconoscere che in ognuno di noi giace una piccola parte che è un assassino, uno stupratore, un ladro, ecc… Riconoscere l’ombra, per dirla con Jung. L’ombra, riconosciuta e accettata è positiva, stimolante e fonte di nuova energia psichica.
Non c’è bisogno di arrivare ad ammazzare per assistere alla manifestazione dell’assassino che è in noi. Si può scorgere quell’’omicida ogni volta che avremmo voluto veder morta una persona in preda alla rabbia; o quando farla finita ci è sembrata la soluzione ad una lunga lista di problemi; quando abbiamo ucciso la nostra speranza o i nostri ogni, la curiosità o l’entusiasmo, l’energia femminile o quella maschile. In modo analogo, ci siamo prostituiti ogniqualvolta abbiamo venduto noi stessi, la nostra dignità, le idee o il proprio sentire per n vantaggio da ottenere.
Quando abbiamo visto, accettato, e compreso i nostri moventi terreni, e li abbiamo sacrificati al fuoco della conoscenza, qualsiasi azione perde il suo peso, diviene pura, e pertanto, si è liberi di indossare ogni abito e recitare ogni ruolo.
Occorre a questo punto stare attenti ai camuffamenti. Ci sono camuffamenti notevoli con i quali ingannare noi stessi: così come si può coprire l’insignificanza con l’umiltà, che appare un pregio ma copre la vergogna, si può truccare la paura dell’abbandono con l’empatia o la generosità, la vigliaccheria con il disinteresse, il bisogno di approvazione con il vittimismo, la mancanza di autodeterminazione con la propria dedizione all’altro.
Prima di arrivare a questa fase c’è la separazione dall’altro e dal mondo. Noi siamo nel giusto, gli altri sbagliano (sono cattivi, sono su un percorso spirituale scorretto, non capiscono, sono materialisti, ladri, ecc.).
Ovviamente, in questa fase, c’è una totale separazione dal divino, visto che ogni cosa creata ha un’unica fonte, divina, appunto.
4. Seconda tappa. L’albedo o opera al bianco.
In questa seconda tappa si devono effettuare due operazioni:
Uno. Riconoscere il mondo, e l’altro, come lo specchio di se stessi. Ciò che di noi stessi non vogliamo vedere viene proiettato sul mondo esterno, come sugli individui in cui ci imbattiamo. In questa fase si è lavorato sull’ombra e si inizia a capire il gioco della dualità e degli opposti. Avviene quindi l’incontro con l’altro, che viene considerato parte di noi.
La trappola più insidiosa in questa fase (ma in realtà in tutte è tre) è la relazione.
Ogni qualvolta instauriamo con un’altra persona una relazione speciale stiamo percorrendo la via della separazione. La relazione d’amore speciale (che sia con un partner, un genitore, un amico, o un’animale da compagnia, o un’idea) è sempre un modo per separarci dal divino. Il proprio sé, incapace ancora di vedersi, si ritiene incompleto, e dunque colpevole di una mancanza, pertanto cerca nella relazione la sua interezza. Tuttavia, quando ci si trova nella relazione speciale, si dà via il proprio sé per scambiarlo con quello dell’altro, si tenta di sacrificare il proprio sé che non si accetta e non si vuole, barattandolo con quello che si crede di preferire. Dunque, amiamo quella persona speciale dei cui sé speciale potremmo impossessarci, o dai cui occhi speciali pretendiamo di essere guardati come esseri speciali. E’ il trionfo dell’ego. E si condanna all’esilio il divino che è in noi. Ecco perché per molte persone la relazione speciale diviene una vera e propria necessità per sopravvivere; è la trincea in cui si è al riparo dalle minacce dell’odio per se stessi e a questo scopo deve assolvere la presenza (materiale o ideale) dell’altro.
Seduzione significa “condurre a sé”, cioè distogliere l’altro dal proprio sé, per condurlo a se stessi, e quindi lontano dal divino.
In inglese si dice “to fall in love” cadere nell’amore, in quanto ogni innamoramento è anche una caduta: è inciampare, perdere il proprio equilibrio e la propria centratura.
Due. Riconoscere il divino in ogni cosa, anche in ciò che noi consideriamo “male”. Rinunciare al giudizio in favore della comprensione.
L’amore per l’altro manifesta e testimonia l’amore che abbiamo per il divino; al contempo, l’amore che nutriamo per Dio dà radici e fondamenta a quello che offriamo al prossimo.
Occorre iniziare a vedere l’amore ovunque, come forza universale.
Per fare questo occorre – come dice Battiato – riconoscere l’ombra della luce, ma anche la luce dietro l’ombra. Luci e ombre non solo nostre, ma anche altrui.
Non c’è infatti, oscurità senza luce e il gioiello che adorna l’ombra per renderla più accettabile è in realtà anche un tesoro: quanta autodeterminazione ci vuole per mettersi da parte e dedicarsi agli altri? Il perfezionista che cerca approvazione in realtà ne dispensa in abbondanza e quanto deve avere in considerazione l’altro per tenere tanto al suo giudizio? Quanta forza deve esercitare il vigliacco per mostrare disinteresse? E il finto empatico, terrorizzato dall’abbandono, non ha imparato forse a starsene solo affinchè nessuno vada mai via?
Nell’apprendere il gioco delle polarità complementari ogni elemento porta con sé e svela il suo contrario.
A questa fase si arriva col distacco, l’esercizio dell’attenzione e l’osservazione.
A questo punto si può effettuare ‘ulteriore passaggio: riuscire a vedere l’amore ovunque.
E se la paura di agire non fosse che amore per la propria incolumità? Se la diffidenza verso il diverso non fosse altro che amore per la propria identità? Se l’abbandono lo vedessimo come amore per l’indipendenza? Se riuscissimo a leggere nella manipolazione l’amore per la propria posizione, nell’indifferenza quello per la tranquillità? Nel rifiuto, l’amore per le proprie idee; nel tradimento quello per il piacere; nell’illusione l’amore per la speranza, nella saccenza quello per la cultura….
Se fosse proprio questa facoltà di vederne l’essenza in ogni apparenza ciò che siamo chiamati a operare nelle nostre vite?
(Il che, tra l’altro, è ciò che dice Dante Alighieri nel purgatorio; che il peccato è amore mal indirizzato).
5. Terza tappa. La rubedo, o opera al rosso.
Una volta riconosciuto il divino ovunque si può arrivare alla terza fase, la rubedo.
In questa fase c’è la fusione dell’Io con il mondo (non a caso l’arcano XXI dei tarocchi si chiama “il mondo”).
La connessione col divino che abita in ognuno di noi, è prerogativa di quanti abbiano sublimato se stessi con le precedenti fasi.
L’Io diviene strumento di Dio. Attraverso di lui lo spirito santo discende nel mondo; attraverso di lui il mondo viene legato allo spirito. Attraverso le due fasi precedenti, si arriva alla fine a trasformare la propria volontà in quella divina, per mutare la percezione di noi stessi quali artefici o vittime degli eventi in verità impersonali agite da potenze celesti. Si avete letto bene. Non si tratta di smettere di essere vittime, ma bisogna anche cessare di considerarsi artefici degli eventi. Molti maghi o streghe ad es. si sentono potentissimi; ma spesso poi, per provocarli, dico loro “allora se sei cosi potente, uccidi quel politico che ti sta sulle palle; o fai cessare la guerra”.
In questo consiste il sacrificio, o sacro fare: nella rinuncia ai moventi personali e nella loro sostituzione con l’amore divino che tutto muove. Il parlare e l’agire non perseguono più la seduzione altrui, conferma di un’idea di sé, il potere personale, la ricerca di attenzione, la compiacenza, la sicurezza; non è più la paura di perdere qualcosa o il desiderio di conquista a dettare le regole del gioco: c’è un’unica idea che fa da sfondo a ogni umana condotta e quell’idea è Dio-amore.
Il mondo fenomenico resta li con tutto il suo meraviglioso incanto, eppure chi vi assiste ora è uno spettatore divertito, che non subisce e non agisce.
Chi è giunto a questo livello di consapevolezza è in totale comunione con il sé, e contempla e vive in modo armonioso tutte le coppie di contrari.
Si raggiunge, in questa fase, la cosiddetta “apertura del cuore”; l’amore incondizionato, il servizio di amore disposto al mondo. Questo amore non è solo un’offerta, è anche un grado della percezione e di conoscenza superiore che scavalca i limiti cerebrali e sensoriali.
Si sviluppa, anche in questa fase, in modo particolare, l’intuizione. Dietro ciò che noi chiamiamo intuito si cela spesso la voce del divino. E’ l’immediatezza che non vaglia gli interessi individuali, i dubbi, le paure e i facili, confortevoli personalismi. E’ il lampo della volontà privo di attaccamento; è il bagliore de momento presente. L’intuito non è impulso, non risponde alla sopravvivenza, non conosce conseguenze perché non ne ha: è azione libera dall’intenzione e del karma; non pesa i frutti del proprio agire, non finalizza e non si piega al desiderio. Non ha orme il suo passo; è come un cavallo alato che domina le regioni impervie ove i crepacci sono sepolture di zoccoli ribelli. Non ha ragione come non ha scopi. Né inizio né fine. Ha il peso e il volo della piuma, a cui non potrà mai essere imposta traiettoria alcuna. Lanciare una piuma è la sconfitta dell’ego; non vi è controllo né forza che possa essere esercitata o impressa.
E’ la porta di accesso al sovrannaturale, perché è la comunicazione diretta col divino, la rivelazione di sacre verità inaccessibili all’intelletto e incomprensibili persino all’erudito più caparbio. L’intuizione viene spesso indicata con la formula “entrate nel regno di Dio che è dentro di voi”.
Gli ostacoli alla percezione sono le ragioni personali, le emozioni individuali, la materia pesante che frena l’ascesa e l’estensione dell’amore; sono le differenze e le identificazioni, i ruoli e gli obiettivi, il controllo e il desiderio, la paura e l’identità, l’idea e il ricordo.
Ma, soprattutto, il giudizio: quante volte posseduti dalla nostra logica abbiamo preteso di sostituirci a Dio nella comprensione della sua opera? La mente che giudica separa, valuta, rifiuta, dubita, proietta e l’emotività, tossicomania di un corpo che si sente vivo solo in preda a passioni divoranti non riconoscendo la vita e spodestando Dio-amore in virtù di un misero Pantheon fatto di brame e paure, troppo spesso si erigono a giudici e creatori.
In questa fase, Dio diviene la nostra stessa dimora in cui egli giungerà ad unirsi a noi.
Il divino ha bisogno dell’umano per potersi manifestare nel suo aspetto dinamico, e l’uomo necessita del divino per palesare la propria natura immortale.
Il passo di un essere spiritualizzato è un passo leggero, che non lascia impronte, è impersonale: non si cammina più per se stessi, ma per opera divina.
La meta del cammino è il camminante stesso: il re del Graal serve il Graal.
6. Considerazioni personali.
Il livello spirituale di un individuo non si misura da quante cose sa, ma da come si comporta nei fatti.
Molte persone che non sanno nulla di spiritualità mostrano di essere fusi col divino molto più di quanto uno potrebbe immaginare. Penso ad una mia parente, che non sa nulla di spiritualità, ma che ogni tanto si porta qualche barbone a casa, o persone in difficoltà anche per mesi, e alle perplessità del marito, che è paradossalmente un asociale totale, risponde semplicemente “eh dai, mica poteva dormire in strada” e che, quando la figlia ventenne rimase incinta di un amico, le disse semplicemente “qualunque scelta io te la appoggerò incondizionatamente”.
D’altronde, salvo che non si abbia un maestro vero, il percorso alchemico per tornare al divino non è un percorso fatto di tappe obbligate e di livelli separati tra loro in modo rigido. Molte persone hanno ad esempio in alcuni brevissimi istanti il cosiddetto “intuito”, che è un risultato della rubedo, ma sono magari al primo livello della nigredo. Oppure sono privi di maschere, e hanno brillantemente superato (in questa vita o nelle precedenti) sia la nigredo e talvolta anche la fase dell’albedo, ma sono in totale confusione al terzo livello (e finiscono magari al manicomio perché giudicati pazzi). Per questo motivo si dice che l’alchimia (ma in generale ogni percorso spirituale) è pericolosa e può portare a impazzire.
La persona più santa e illuminata che ho conosciuto in vita mia era Padre Rolando (di cui ho parlato nel mio ultimo articolo: https://petalidiloto.com/2023/08/padre-rolando-biancarelli-ricordo-di-un-santo/. Non aveva una gran cultura (non conosceva neanche i vangeli gnostici, giusto per fare un esempio, non sapeva cosa era lo yoga e non sapeva nulla del buddismo; si limitava a chiedermi, e ad ascoltarmi. Non aveva mai sentito parlare di Cristianesimo esoterico e non sapeva neanche cosa fosse). Era però fuso col divino e non solo le sue parole, ma anche le sue azioni, erano sempre in armonia con qualcosa di superiore.
Era il passo leggero di un essere spiritualizzato, che non lascia impronte, ed impersonale: non camminava per se stesso, ma per opera divina.
Anna
25 Agosto 2023 @ 19:03
Bello. Bello. Bello.
Non conosco Sara Ascoli ma comprerò il suo libro, perché dice tutte cose che non sono solo alchimia ma fondamenti dello sciamanismo.
Per poter fare un serio lavoro su sé stessi bisogna far cadere tutte le maschere, o meglio riconoscerle tutte (e sono tante eh), e riconoscere che l’unica via è amare di noi stessi tutto ciò che siamo, accettando i nostri lati oscuri e comprendendo che possiamo cambiare solo noi stessi, non il mondo, in quanto il mondo siamo noi stessi.
La parte più dolorosa è sempre ammettere a sé stessi di essersi presi in giro una vita intera, raccontandosi tante scuse pur di giustificare scelte infelici e una vita non in linea coi nostri sogni e desideri.
La responsabilità però è sempre solo nostra, mai degli altri.
E mi piace come Sara ribalti i concetti che possono sembrare negativi e li renda positivi.
Solo accettando che siamo granelli di sabbia insignificanti possiamo diventare strumenti del divino, non a caso gli stregoni sono sciamani che hanno preferito alimentare il loro ego anziché essere strumenti della luce, ma va bene così, devono esserci anche loro per equilibrare la parte luminosa. Anche loro lavorano per l’universo dopo tutto, dall’altra parte della spettro luminoso.
Fare tecniche sciamaniche o alchemiche o yoga o meditazione o abbracciare un senzatetto poco cambia, il fine deve essere sempre volere raggiungere un’unione con il tutto che trascenda tutte le nostre incarnazioni.
E come dice Paolo, la spiritualità si dimostra nelle azioni quotidiane, non nelle conoscenze o nelle parole vuote.
Grazie di cuore.