La legge 24 febbraio 2006 n. 85 è stata pubblicata in G.U. del 13 marzo 2006, n. 60 con il titolo: “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”. Eppure sin dal primo articolo ci si rende conto che le modifiche più importanti apportate dalla legge hanno ben poco a che vedere con i reati di opinione. Infatti vengono modificati gli artt.241 (attentati contro l’indipendenza, l’integrità e l’unità dello Stato); 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato); 289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), ovvero le figure di attentato alle istituzioni democratiche del paese.
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«Art. 241. – (Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni. La pena è aggravata se il fatto è commesso con violazione dei doveri inerenti l’esercizio di funzioni pubbliche». | 241. Attentati contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato.Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato [ o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato, è punito con la morte. ergastolo Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto a disciogliere l’unità dello Stato, o a distaccare dalla madre Patria una colonia o un altro territorio soggetto, anche temporaneamente, alla sua sovranità. |
«Art. 283. – Attentato contro la Costituzione dello StatoChiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni». | 283. Attentato contro la costituzione dello Stato. Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato o la forma del Governo, con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni |
«Art. 289. – (Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali). È punito con la reclusione da uno a cinque anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette atti violenti diretti ad impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente: 1) al Presidente della Repubblica o al 2) alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte | 289. Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali. È punito con la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non si tratti di un più grave delitto, chiunque commette un fatto diretto a impedire, in tutto o in parte, anche temporaneamente: 1. al presidente della Repubblica o al Governo l’esercizio delle attribuzioni o delle prerogative conferite dalla legge; 2. alle assemblee legislative o ad una di queste, o alla Corte costituzionale o alle assemblee regionali, l’esercizio delle loro funzioni.La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è diretto soltanto a turbare l’esercizio delle attribuzioni, prerogative o funzioni suddette |
Certo sono stati anche modificati[1], e abrogati[2], alcuni articoli che incidono sulla libertà di espressione (es. vilipendio, propaganda e apologia). Tali modifiche, però, non hanno la rilevanza di quelle apportate agli articoli che concernono le figure di attentato.
Prima di analizzare cosa comportino tali modifiche facciamo qualche premessa di carattere generale.
Il diritto penale prevede e punisce, con apposite sanzioni, i comportamenti contrari al buon vivere sociale, e che offendono terminati beni od interessi[3].
Il diritto penale, quindi, non ha solo una funzione punitiva ma, attraverso l’indicazione di comportamenti da tenere, e la minaccia di repressione di quelli contrari ai suoi precetti, assolve anche una importante funzione preventiva.
La funzione principale del diritto penale è, dunque, quella di difendere la società contro il reato (Carnelutti). Tanto più è alto il valore giuridico da tutelare tanto sarà necessario predisporre, da parte del legislatore una tutela efficace. Vi sono beni che, per la loro rilevanza, impongono al legislatore di anticipare la soglia di punibilità facendo rientrare nella fattispecie comportamenti che mettono anche solo a rischio il bene da tutelare.
Fatta questa premessa entriamo nel merito della questione. Prima della modifica operata dalla legge n. 85/2006, per integrare una delle fattispecie di attentato contro la personalità dello Stato, trattandosi di delitti posti a presidio di beni di rango particolarmente elevato (Integrità, indipendenza ed unità dello Stato; Costituzione ed organi Costituzionali), era sufficiente un qualsiasi atto intenzionalmente diretto a ledere il bene protetto, indipendentemente dalla sua idoneità a raggiungere lo scopo. Tale previsione, però, poneva un problema di ordine costituzionale laddove l’art. 25 della Costituzione subordina la sanzione penale alla commissione di un fatto, ovvero una condotta materiale ed offensiva (c.d. principio di’offensività). Era, quindi, da più parti auspicato un intervento legislativo sulla previsione normativa degli articoli in esame al fine di renderli conformi ai principi costituzionali. Per ottemperare a questa esigenza il legislatore avrebbe potuto modificare la fattispecie prevedendo la punibilità della condotta di “fatti diretti ed idonei a[4]”.
Il legislatore, però, si è spinto ben oltre l’auspicata modifica prevedendo, perché sia integrata la fattispecie, che gli atti, oltre ad essere idonei e diretti, debbano essere anche violenti.
Tale ulteriore restrizione della fattispecie, non giustificata da esigenze costituzionali (l’art. 25 della Costituzione subordina la sanzione penale ad un fatto e non ad un fatto violento), espone le istituzioni democratiche del paese ad un grave rischio, privandole, nei fatti, di qualsiasi tutela.
Come dice efficacemente Domenico Pulitanò[5]: “La specificazione “atti violenti”, a prima vista così plausibile, pone delicati problemi di interpretazione: quid juris ove mai un attentato all’integrità dello Stato, o alla Costituzione, o al funzionamento di organi costituzionali, venisse perpetrato con abuso di pubblici poteri, senza dispiegamento di forza bruta?”. In questo caso non solo non vi sarebbe alcuna forma di tutela anticipata, ma l’incriminazione della fattispecie consumata sarebbe tardiva. La tutela anticipata è, infatti, giustificata dal fatto che il bene può essere efficacemente protetto solo in via preventiva, poiché una volta avvenuto il fatto il bene è irrimediabilmente perso. Basti pensare all’attentato alla Costituzione[6]. E’ possibile modificare, in tutto o in parte, i diritti fondamentali del cittadino semplicemente abusando di alcune posizioni di potere (si pensi all’inganno, alla falsità, all’arbitrio) senza commettere alcuna violenza.
Ma che i beni tutelati dall’ordinamento possano essere lesi anche da atti non violenti è da sempre chiaro al nostro legislatore, come dimostra il fatto che la maggior parte delle condotte punite dal nostro codice penale non richiedono la connotazione violenta. Si pensi all’art. 276 c.p. punisce l’attentato contro il Presidente della Repubblica: “Chiunque attenti alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo”. Qui, correttamente, non è specificato che l’atto debba essere violento. Si può attentare alla vita di un uomo semplicemente versando del cianuro in una bevanda. Non è stato commesso alcun atto violento, ma il fatto è comunque idoneo allo scopo.
Certo in questo caso il bene tutelato è di primaria importanza, ma la tutela non è minore (sotto l’aspetto della condotta penalmente rilevante) per quanto concerne la protezione del patrimonio. Prendiamo come esempio il reato di truffa, ex art. 640 c.p., per cui è punito anche il tentativo. Il reato punisce: “ Chiunque con artifici o raggiri….”. Anche in questa previsione non si parla di atti violenti. Il legislatore è ben consapevole che si può raggiungere lo scopo anche solo con la menzogna e l’inganno.
In altri termini, in tutti i reati di pericolo (che sia attentato o tentato) spetta al giudice il compito di accertare se gli atti compiuti presentino il requisito della effettiva pericolosità, a prescindere dalla connotazione violenta.
Ma se è così perché il legislatore ha operato una previsione tanto restrittiva per tale categoria di reati? Nell’ambito dei lavoratori preparatori vi è scritto che: “la legge è volta a sanare una palese discrepanza tra ciò che la Costituzione sancisce ed il codice penale vieta in relazione al diritto di manifestare il proprio pensiero”. La riforma è stata proposta e sostenuta dalla Lega nord. Probabilmente, quindi, si è posta particolare attenzione a tutelare il dissenso politico (connotato da desiderio separatista) di questa parte politica. Tale esigenza ha, però, portato a non considerare con la dovuta attenzione le ulteriori conseguenze della riforma.
Se la ratio (bilanciamento di interessi che ha portato il legislatore a considerare prevalente il diritto di manifestazione del pensiero su altri beni giuridici) si applicasse ad altre fattispecie si dovrebbe abrogare, ad esempio, la previsione di qualsiasi reato in tema di istigazione poiché questa rientrerebbe nella previsione dell’art. 21 della Costituzione.
Il paradosso che tale legge ha creato è che nel nostro ordinamento, per beni di valore sicuramente meno elevato, opera una tutela efficace, ma per le istituzioni democratiche no. Così è punito per tentata truffa chi con atti idonei tenta di ledere il patrimonio, ma non chi con atti idonei e violenti attenta all’esistenza stessa delle istituzioni democratiche nonché ai diritti fondamentali dell’individuo.
La pericolosità di tale legge per l’ordine democratico è altissima.
Per meglio comprenderla facciamo un esempio tratto dalla nostra storia recente. Per la strage di Ustica il 28 luglio 1998 la Procura di Roma chiese il rinvio a giudizio di alte cariche militari dell’aeronautica per il reato di Attentato agli organi costituzionali, previsto dall’ art. 289 c. p., perché: “omisero di riferire alle autorità politiche e giudiziarie le informazioni….” o perché fornirono “notizie errate” o “mentirono”. Come si può notare le condotte gravissime che vennero imputate ai militari erano prive della connotazione della violenza: si trattava di omissioni, notizie errate o false, ma nessuna violenza. Oggi le stesse gravissime condotte non integrano più la fattispecie di reato. In altri termini depistare, mentire ed occultare prove allo scopo di impedire alle istituzioni di svolgere le i propri compiti (quant’anche ciò comporti una minaccia per la stessa sopravvivenza dello Stato democratico) non costituisce più reato ex art. 289 c.p..
Tale situazione è poi ulteriormente aggravata dalla scelta operata dal legislatore di ridurre le pene edittali. Un esempio valga per tutti: oggi attentare agli organi costituzionali con atti idonei, diretti e violenti (la cui previsione di pena massima edittale è 5 anni) viene punito meno gravemente del furto di un valigia in albergo o aeroporto (la cui pena massima è 6 anni).
Ma, se è vero che le pene edittali devono esprimere una graduazione di valore avendo riguardo alla offensività e pericolosità sociale del comportamento, come è possibile che attentare alle istituzioni democratiche con atti diretti, idonei e violenti, per il legislatore, valga meno del furto di un bagaglio in aeroporto?
Per finire è necessario fare un’ultima considerazione che riguarda i tempi di prescrizione.
Oggi i tempi medi per celebrare due gradi di giudizio (primo grado e di appello) sono 5 anni (a cui naturalmente vanno aggiunti i tempi necessari per le indagini preliminari)[7]. Questo significa che per arrivare ad una condanna definitiva (sentenza di Cassazione) mediamente occorrono più di otto -nove anni[8]. Se questa è la situazione che senso ha prevedere per un reato (art. 289 c.p. attentato agli organi costituzionali), una pena massima edittale di 5 anni che si prescrive in un tempo da sei a massimo nove anni (NB: da notare che prima della riforma tali reati si prescrivevano anche in 50 anni)? Quale funzione preventiva può realmente avere? Nessuna. Oggi chiunque attenti agli organi costituzionali con atti diretti violenti ed idonei non rischia praticamente nulla. Se si vuole veramente difendere la società i reati si devono prevenire. Il reato si previene attraverso la minaccia reale di una pena. Non certo prevedendo una pena che, nella pratica, non ha nessuna possibilità di venire applicata.
Il legislatore, con tale legge, ha, nei fatti, privato di qualsiasi effettiva tutela le istituzioni democratiche del paese.
[1] Art. 290 Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate; art. 291 Vilipendio alla nazione italiana; art. 292 Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato; art. 342 Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario; art.299 Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero; art. 403 Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone,; art. 404 Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose; art. 405 Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa
[2] art. 406 Delitti contro i culti ammessi nello Stato; art. 269 Attività antinazionale del cittadino all’estero; art. 272 Propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale; art. 279 Lesa prerogativa della irresponsabilità del presidente della Repubblica; art. 292-bis Circostanza aggravante; art. 293 Circostanza aggravante
[3] L. Delfino, diritto penale, Ed. Simone, 2000, pg. 9
[4] Cadoppi Veneziani, Elementi di diritto penale, Cedam, pg. 367: “laddove per idonei si intende quegli atti dotati di una potenzialità lesiva, ovvero che determinano una esposizione a pericolo dell’interesse protetto”
[5] Corriere Giur., 2006, 6, 745
[6] Nel concetto di Costituzione si ricomprendono, oltre alla Carta Costituzionale, anche le leggi, le consuetudini sull’eserczio della sovranità ed i diritti fondamentali del cittadino.
[7] Stando alle “relazioni di apertura degli anni giudiziari” degli ultimi anni
[8] Si parla di tempo medio, il che vuol dire che si opera una media tra processi che vengono celebrati velocemente (ad es. in caso di arresto in flagranza di reato) e processi che, per la complessità delle indagini, richiedono anni (la sentenza definitiva per Ustica ha richiesto 27 anni).