Di Solange Manfredi
Agguato di via Fani.
Nonostante trent’anni e numerosi processi dell’agguato di Via Fani, ancora oggi, non si è riusciti a ricostruire con esattezza le modalità dell’attacco, né quante persone vi parteciparono.
Sono circa le 9 del mattino del 16 marzo 1978. La Fiat 130 dell’On. Moro e l’Alfetta di scorta che percorrono via Trionfale svoltano in via Fani. Fanno pochi metri quando all’altezza dell’incrocio con via Stresa le due auto vengono bloccate da una Fiat 128 con targa diplomatica che provoca un tamponamento
Negli istanti successivi i terroristi esplodono un numero impressionante di colpi. Vengono ritrovati 93 bossoli, ma i colpi sparati potrebbero essere di più. In questo inferno di fuoco vengono colpiti tutti gli uomini della scorta di Aldo Moro (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi) ma il Presidente della DC resta miracolosamente illeso.
Tre uomini della scorta, feriti ma ancora vivi, ricevono il colpo di grazia[1]. Perché? Cosa non dovevano dire?
Il traditore?
“Moro non percorreva tutti i giorni la stessa strada: cambiava il percorso in ragione dei vari impegni della giornata…. Eppure, fin dalla sera del 15 marzo i brigatisti attuarono i preparativi per l’imboscata di via Fani: nottetempo vennero squarciate le gomme del pulmino appartenente al fioraio Antonio Spiriticchio che ogni giorno sostava proprio nel luogo dell’agguato. L’audace imboscata terrorista venne preceduta da una meticolosa preparazione logistica: dunque i terroristi fin dal giorno prima avevano l’assoluta certezza che la mattina dopo, verso le ore 9, l’auto di Moro sarebbe transitata in via Fani, e prima ancora che lo avesse stabilito il maresciallo Leonardi”[2].
Come potevano essere sicuri che Moro proprio quel giorno e a quell’ora sarebbe passato da via Fani?
Il Commando militare: Gladio?[3]
“L’azione militare di via Fani viene subito definita da un anonimo ufficiale dei servizi segreti «un gioiello di perfezione» attuabile solo «da due categorie di persone: militari addestrati in modo sofisticato, oppure (il che è lo stesso) da civili che si siano sottoposti a un lungo e meticoloso training in basi militari specializzate in operazioni di commando». Un parere condiviso anche dal generale Gerardo Serravalle, secondo il quale l’abilità del tiratore scelto di via Fani non poteva non presupporre un addestramento costante, quasi quotidiano, che in Italia possono consentirsi solo pochi uomini”[4].
I brigatisti non avevano alcun addestramento: “Morucci confermerà che la sola esercitazione affrontata dal commando brigatista prima dell’azione di via Fani era stata tenuta nel giardino di una villa a Velletri (ovviamente, si era trattato di una esercitazione senza “bersagli”, né armi e pallottole, poiché gli spari avrebbero creato allarme nelle vicine abitazioni)”[5].
Allora chi ha condotto l’imboscata?
Divise da aviazione civile: segno di riconoscimento?
Perché i componenti del commando di via Fani indossavano divise da aviazione civile (sicuramente poco adatte a passare inosservati)? Forse perché alcuni componenti del commando, magari il tiratore scelto, era sconosciuto ai brigatisti e la divisa serviva ad identificarlo?
Munizioni in dotazione a Forze Armate non convenzionali: Gladio?
Nel commando vi è un tiratore scelto armato di mitra a canna corta che sparerà la maggior parte dei colpi la cui identità è ancora sconosciuta. Chi è? Come poteva essere così addestrato? Era un militare e/o addestrato in campi militari?
Quello che è certo è che:
“Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale. Tra i bossoli repertati, 31 erano senza data di fabbricazione e ricoperti da una particolare vernice protettiva, «parte di stock di fabbricazione non destinata alle forniture standard dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica militare». Cartucce dello stesso tipo verranno poi trovate anche nel covo Br di via Gradoli. Secondo il perito Antonio Ugolini, «questa procedura di ricopertura di una vernice protettiva viene usata per garantire la lunga conservazione del materiale… Il fatto che non venga indicata la data di fabbricazione, è il tipico modo di operare delle ditte che fabbricano questi prodotti per la fornitura a forze statali militari non convenzionali…E quando verranno scoperti i depositi “Nasco” della struttura paramilitare segreta della Nato “Gladio” si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi”[6].
Nessuna indagine
La cosa appare di una evidente gravità, eppure inspiegabilmente: “Non è stata condotta alcuna inchiesta per accertare quale ente avesse commissionato quelle particolari munizioni e la loro destinazione, dato che esse non erano destinate alle forze armate regolari né potevano essere commercializzate essendo di calibro militare e interdette a usi civili: dagli atti dei vari processi Moro non risulta siano mai stati svolti accertamenti per scoprire da quali canali quelle munizioni arrivarono alle Br”[7]
La presenza in via Fani di Gladio.
La mattina del 16 marzo alle ore 9 in via Stresa, a circa duecento metri da dove avviene la strage c’è il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi.
“Il colonnello Guglielmi, in forza al servizio segreto militare, era uno stretto collaboratore del generale piduista Giuseppe Santovito, ed era stato istruttore presso la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata…L’inspiegata presenza “a pochi metri da via Fani” del colonnello Guglielmi al momento della strage è stata rivelata molti anni dopo, nel 1991, da un ex agente del Sismi addestratosi a capo Marrargiu, Pierluigi Ravasio…”[8].
Cosa ci faceva lì il Colonnello Guglielmi[9]? Perché non ha detto, o fatto, nulla quando a 200 metri da lui avveniva un massacro?
Una Gladio della Sip?
Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona.
Ma il mistero Sip non si conclude con il back-out del 16 marzo 1978.
“Si susseguono durante i 55 giorni di prigionia dell’On. Moro, strane quanto improbabili coincidenze legate all’azienda dei telefoni: il 14 aprile alla redazione de Il Messaggero, è attesa una telefonata dei rapitori; vengono così raccordate in un locale della polizia, per poter stabilire la derivazione, le sei linee della redazione del giornale. Ma al momento della chiamata la Digos accerta l’interruzione di tutte e sei le linee di derivazione e non può risalire al telefonista… L’allora capo della Digos parla, nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, di totale non collaborazione della Sip. …In nessuna occasione fu individuata l’origine delle chiamate dei rapitori: eppure furono fatte due segnalazioni….L’allora direttore generale della Sip era iscritto alla P2, Michele Principe”[10]
Piccolo Particolare:
“Circa la vicenda della Sip si legge (Unità dell’11 luglio 1991) in uno scritto di Vladimiro Settimelli:
[11].
Un sequestro annunciato.
L’imminente sequestro di Aldo Moro sembra fosse noto a molti.
Come appureranno i giudici istruttori Imposimato e Priore nel corso di una rogatoria internazionale, “in Francia, a Parigi, i servizi segreti, nel febbraio 1978, già sapevano dell’organizzazione del sequestro Moro”[12].
Ed ancora: Renzo Rossellini[13], un’ora prima dell’agguato di via Fani, ovvero poco dopo le 08 del mattino del 16 marzo, su Radio Città Futura, dava la notizia di un’azione terroristica compiuta ai danni dell’On. Moro.
Moro era consapevole del pericolo, tanto consapevole da chiedere una scorta per i famigliari, da far mettere i vetri antiproiettile alle finestre del suo studio e da chiedere un auto blindata…richiesta che non verrà esaudita. Perché?
Ancora Gladio.
“Un documento della X Divisione Stay Behind (Gladio) della direzione del personale del Ministero della Marina, a firma del Capo di Vascello, capo della divisione stessa, del 02 marzo 1978, ovvero 14 giorni prima del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta, inviava l’agente G71 appartenente alla Gladio – Stay Behind- (partito da La Spezia il 06 marzo sulla motonave Jumbo M) a Beirut, per consegnare dei documenti all’agente G129, affinché prendesse contatti con “gruppi del terrorismo M.O.”, perché questi intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro.
A Beirut operava come capocentro (pare anche con incarico in Gladio, visto che gli si attribuisce la sigla G216) il Colonnello Stefano Giovannone, responsabile per il Medio oriente, iscritto ai Cavalieri di Malta[14]
Il 16 marzo 1978 Cossiga decide di istituire dei comitati per gestire la crisi.
Quello che è certo è che: “l’operato delle forze di polizia dipendenti dal Viminale e dei servizi segreti (affidati da Cossiga e Andreotti ad affiliati alla Loggia massonica segreta P2) è stato caratterizzato da una lunga sequela di errori e conniventi inerzie, tali non solo da rendere dubbia l’effettiva volontà dello Stato di salvare la vita dell’onorevole Moro arrestando i sequestratori, ma perfino da indurre a sospettare complicità e convergenze di intenti con i terroristi”[16].
Appartamento di via Gradoli
Le Br che preparano il sequestro Moro avevano scelto, sin dal 1975, come loro principale base un appartamento situato in via Gradoli 96.
In via Gradoli 96, poi, erano ben 20 gli appartamenti intestati ai servizi segreti.
Perché mettere in quel palazzo la sede operativa delle Br? Un errore di valutazione? O forse perché abitando nello stesso palazzo i servizi segreti potevano gestire con maggior riservatezza i contatti con i brigatisti ed il sequestro del Presidente DC?
Perché dopo il falso comunicato del Lago della Duchessa il covo di Via Gradoli viene fatto scoprire? .
“Il rifugio di Mario Moretti e Barbara Balzerani era “saltato” grazie ad una fuga d’acqua che secondo i vigili del fuoco sembrava provocata apposta: uno scopettone era stato appoggiato sulla vasca, e sopra lo scopettone qualcuno aveva posato il telefono della doccia (aperta) in modo che l’acqua si dirigesse verso una fessura nel muro”[17]
Un caso? O forse come afferma Franceschini:
“L’operazione lago della Duchessa-via Gradoli (vanno sempre tenuti insieme) è un messaggio preciso a chi detiene Moro…”[18]?
Foto di Moro nella Loggia di Trapani…accanto a Gladio.
All’interno del famigerato Centro studi Scontrino di Trapani: “la polizia trovò le carte segrete di una serie di logge massoniche coperte, punto d’incontro di massoni, templari, politici, appartenenti a servizi segreti d’Occidente e d’Oriente, e anche di quei mafiosi indiziati di aver partecipato al mio attentato…. Nella stessa sede trapanese era, infine, presente l’Associazione musulmani d’Italia, sponsorizzata da Gheddafi in persona e facente capo a Michele Papa, che aveva avviato attraverso di essa una serie di iniziative collegate con le attività svolte dal leader libico (negli appunti sequestrati veniva indicato come «sostituto di Gheddafi»).”[19]
Cosa ci faceva una foto di Moro, con alcune iscrizioni massoniche apposte sulla stessa fotografia, all’interno del Centro studi Scontrino di Trapani?
E’ un caso che il colonnello libico Gheddafi: “ancora allievo nella accademia militare britannica di Sandhursi, Gheddafi era stato reclutato nella setta massonica dei Senussi di cui il suo predecessore, il re Idris, era stato gran maestro. I Senussi costituivano allora e costituiscono ancor oggi uno degli strumenti usati dai servizi segreti britannici per l’attività di controllo dell’area meridionale del Mediterraneo”[20]?
Ed è ancora un caso che a Trapani vi era anche il Centro Scorpione: “ un centro di Gladio rimasto in gran parte sconosciuto e dotato di un aereo super leggero in grado di volare al di sotto delle apparecchiature radar”[21], centro diretto dal Maresciallo Vincenzo Li Causi (indicato da un ex appartenente a Gladio, quale informatore di Ilaria Alpi) e ucciso in Somalia in circostanze mai chiarite pochi giorni prima di deporre davanti al Pm proprio sul Centro Scorpione?
Ma torniamo a Moro.
“Al di là delle ipotesi, rimane comunque il dato di fatto del rinvenimento, in una loggia massonica, di una fotografia di Aldo Moro del tutto particolare: massoniche erano, infatti, anche alcune iscrizioni apposte sulla stessa fotografia. Queste scritte non furono mai decifrate: la foto, a quanto pare, scomparve immediatamente dagli atti del processo”[22].
Sappiamo che sia la massoneria che i servizi segreti usano spesso comunicare con un linguaggio cifrato incomprensibile ai non iniziati.
Forse, anche in questo caso, occorre prestare attenzione a questo tipo di linguaggio per capire il Caso Moro.
GRADO LI
E’ il 02 aprile1978 quando nel corso di una seduta spiritica a cui partecipava, tra gli altri, anche Romano Prodi (recentemente coinvolto in una inchiesta riguardo a truffe ai danni della Comunità europea, che lo indica come affiliato ad una loggia massonica di San Marino) emerge il nome Gradoli.
Era il nome della via in cui si trovava il covo delle Br o quella seduta spiritica aveva un significato più profondo?
“Se fosse stato un segnale inviato a chi era in grado di capirlo perché iniziato a quel particolare linguaggio cifrato? Se il codice fosse stato, per esempio, quello rosacrociano, le lettere indicate dal piattino avrebbero potuto non formare il nome del paesino sul lago di Bolsena, ma essere lette come GRADO-LI (grado 51). Si sarebbe rinviato, cioè, a un livello ancora più occulto del trentatreesimo, un gradino più alto della gerarchia massonica conosciuta. Quale poteva essere questo misterioso Grado LI ? Un rarissimo testo pubblicato in Francia intorno al 1870 da Ely Star (pseudonimo di un seguace di Péladan e di Flam-marion), Les Mystères de l’horoscope, svela che nel Cercle de In Rose + Crobc il Grado LI corrisponde al Maìtre du Glai-ve, il Signore del Gladio.
Letto cosi e riferito alla situazione internazionale, quel messaggio poteva essere interpretato in due modi: o come una richiesta di intervento rivolta al fantomatico Signore di quella organizzazione; oppure come l’annuncio che il Grado LI stava per muoversi[23]”.
Questa è la possibile spiegazione degli autori del libro “Il misterioso intermediario”. Ma è possibile anche una terza ipotesi: dicendo “Gradoli” ovvero Signore del Gladio, non è possibile che qualcuno volesse lanciare un messaggio a tutti gli investigatori o gli eventuali inquirenti in grado di capirne il significato, avvertendoli così di non procedere, perché si trattava di un’operazione voluta e condotta da Gladio?
Vi è stata una persona, iniziata a questo linguaggio, legato ai servizi segreti che, coraggiosamente ha scritto molto sul caso Moro…. sino a quando non è stato ucciso. Era Carmine Pecorelli
Il suo modo di scrivere era sibillino, da iniziati (era un massone iscritto alla Loggia P2), ma di una cosa, oggi, siamo sicuri: sapeva molto e….scriveva. Ed allora andiamo a vedere cosa sapeva e cosa ci aveva scritto sul sequestro Moro.
Come, ricorda il Senatore Sergio Flamigni:
“Pecorelli coglieva l’atmosfera di dura ostilità verso la politica di Moro, e a partire dalla seconda metà del 1975 cominciò a esprimerla attraverso enigmatiche note di questo tenore: «È proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?»; «Moro-bondo»; «Un funzionario, al seguito di Ford in visita a Roma, ebbe a dichiararci: “Vedo nero. C’è una Jacqueline [vedova Kennedy, ndr] nel futuro della vostra penisola”»; «… E a parole Moro non muore. E se non muore Moro…». Il 9 gennaio 1976 “Op” riportò a tutta pagina una caricatura di Moro col titolo: «Il santo del compromesso, Vergine, martire e… dimesso», e le parole: «Oggi, assassinato con Moro l’ultimo centro-sinistra possibile di sedimentazione indolore della strategia berlingueriana…». Era in pratica una sequela di allusioni di morte che Pecorelli non aveva mai rivolto a nessun altro uomo politico” [24].
Il 20 marzo 1979 il giornalista Mino Pecorelli viene ucciso a Roma.
Anche in questo caso, come negli altri scandali e fatti di sangue italiani analizzati nei precedenti articoli di questo blog, troviamo una serie di costanti ovvero meccanismi, che scattano affinché non si giunga alla verità. Vediamoli:
– La presenza tra i protagonisti di massoni e ufficiali dei servizi segreti;
– La protezione data dal segreto;
– le indagini non svolte;- ecc…
Grazie a questi meccanismi, sempre a tutela dell’illegalità, i fatti si sono trasformati in “misteri” e questi misteri, per alcuni, in straordinari strumenti di ricatto.
Ed allora, per il lettore che ragiona con la sua testa, al di là del bombardamento di disinformazione cui è stato sottoposto negli ultimi 30 anni, è plausibile che il caso Moro sia stato pensato, progettato, attuato da un gruppo di brigatisti (manovalanza di piazza) che si addestravano nel giardino di una villa di Velletri senza neanche i proiettili?
E’ possibile che lo stato non sia riuscito a scoprire la verità in 30 anni?
E’ possibile che le migliaia di dipendenti dei servizi segreti, dei corpi speciali, che tutte le forze di polizia e dei carabinieri non siano mai riusciti a scoprire nulla, tenuti in scacco da una gruppo di brigatisti?
E’ davvero possibile che un futuro Presidente del Consiglio riceva notizie riservate su Moro durante una seduta spiritica e poi lo ammetta pubblicamente alla nazione?
Tutto ciò è davvero possibile e credibile?
P.S.
Uno degli studiosi più attenti del caso Moro è sicuramente il senatore Sergio Flamigni. Ha pubblicato su Moro libri indispensabili per chi voglia documentarsi (31).
Bastano poche parole per delegittimare le risultanze di un lavoro serio ed approfondito. Sono parole che appena dette hanno la capacità di impermealizzare la capacità di ragionamento dei più: mitomane, pazzo, dietologo, visionario, complottista. Ai più attenti non sfugge che quando si attacca qualcuno sul piano personale per invalidare ciò che dice, invece di contestare il contenuto delle sue affermazioni, probabilmente la persona dice il vero, ma molti cadono nel tranello. Cadono anche perché spesso la verità è scomoda, la menzogna ben confezionata, più rassicurante.
Se avesse avuto voce e attenzione il mirabile lavoro svolto dal senatore Flamigni molte verità sarebbero emerse prima e molto di più sapremmo oggi. Invece il suo scrupoloso studio gli ha procurato una decina di querele, ovviamente tutte infondate (la magistratura ha riconosciuto esplicitamente la correttezza del suo lavoro). Ancora oggi la sua battaglia per la verità e l’informazione incontra vergognosi ostacoli dai c.d. poteri forti del nostro paese, come il suo straordinario archivio (http://www.archivioflamigni.org/) fonte di inestimabile valore in un paese dove la disinformazione rappresenta un fondamentale strumento di potere per chi vuole ingannare il popolo.
[1] http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/malavita.html
[2] S. Famigni, Convergenze parallele Kaos Edizioni, 1998
[3] Gladio era organizzazione clandestina di resistenza promossa dai servizi segreti e addestrata ad operare, in caso di occupazione nemica del territorio, nei seguenti campi: raccolta delle informazioni; cifra; radiocomunicazioni; sabotaggio; guerriglia; propaganda ed esfiltrazione
[4] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni 1993
[5] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni 1993.
[6] Op. cit. S. Flamigni
[7] Op. cit. S. Flamigni
[8] Op. cit. S. Flamigni
[9] Interrogato il colonnello Guglielmi sosterrà di essersi trovato in via strasa perché invitato a pranzo da un amico (alle nove di mattina?). L’amico sosterrà di non ricordare di aver invitato a pranzo il colonnello Guglielmi, ma di esserselo visto arrivare a casa intorno alle ore 09.00
[10] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[11] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[12] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni, 2003
[13] Interrogato sulla circostanza Rossellini sosterrà di aver fatto solo un’ipotesi
[14] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore.
[15] Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1993
[16] Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1993
[17] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[18] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[19] Carlo Palermo, 11 settembre 2001 Il quarto livello. Ultimo atto?, Editori Riuniti
[20] Carlo Palermo op. cit.
[21] Falco Accade, Op. cit
[22] Carlo Palermo 11 settembre 2001 Il quarto livello. Ultimo atto?, Editori Riuniti
[23] Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca, Il Misterioso intermediario, Einaudi Editore
[24] S.Flamigni, dossier Pecorelli, Kaos edizioni
[25] Alle Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso durante una seduta del Senato di Roma
[26] La battaglia di Filippi oppose il il secondo triumvirato Ottaviano, Antonio e Lepido alle forze (dette repubblicane) di Bruto e Cassio (due dei principali cospiratori ed assassini di Cesare) La battaglia, che si svolse nel 42 a.c. fu vinta dal secondo triumvirato e Bruto e Cassio furono costretti a suicidarsi
[27] op. cit. S. Flamigni
[28] S. Flamigni, Dossier Pecorelli, Kaos edizioni
[29] Articolo del 17 ottobre 1978
[30] aveva inoltrato domanda di iscrizione alla P2, la Loggia segreta alla quale suo fratello – il generale dei Carabinieri Romolo Dalla Chiesa – era già affiliato
Anonimo
7 Marzo 2008 @ 14:34
MORO, in via Fani, NON ERA IN AUTO
E’ una spiegazione plausibile alle tante stranezze. Infatti basta pensare che:
– Il commando esplode contro le due auto almeno 93 colpi…tutti morti e Moro resta illeso? Questo è più di un miracolo.
– Nessuno vede Moro uscire dall’auto in via Fani, le testimonianze parlano di un uomo della corporatura di Moro…che è ben altra cosa. Anche’io ho la corporatura di Woody Allen ma non siamo neanche parenti;
– Questo spiegherebbe anche perchè gli uomini della scorta dovevano morire… avrebbero potuto dire che Moro non era in auto;
– A conferma di ciò basti dire che Moro, nelle lettere dal carcere, non fa un solo accenno agli uomini della scorta trucidati sotto i suoi occhi. Eppure era un uomo religioso, perché? Forse perché non lo sapeva?
– Non a caso Pecorelli, nel pezzo citato nell’articolo, parla di uomini mandati all’assalto dell’auto del Presidente (si badi bene…dell’auto) ed è questo il particolare da tenere a mente.
Anonimo
1 Ottobre 2017 @ 20:21
Concordo pienamente,neanche uno sgraffio di rimbalzo….mah…
Abate Vella
7 Marzo 2008 @ 17:56
Solange, Paolo,
qualche dettaglio che potrebbe esservi di aiuto:
1) Trapani: qui si trovano importantissime installazioni militari italiane di ogni tipo (dai servizi segreti, all’aviazione, ai bersaglieri etc etc). Come mai proprio a Trapani? Forse vi sono motivazioni strategiche precise, eppure una delle basi militari più importanti del mondo (Sigonella) si trova da tutt’altra parte. Ma vi sono alcune coincidenze di rilievo. Trapani è probabilmente la città massonica siciliana per eccellenza (vedi Ugo La Malfa ed il padre di Piersanti Mattarella, il presidente della regione ucciso dalla mafia). Numerose inchieste sui legami tra mafia e massoneria si sono svolte in questa città. Guarda caso, in provincia di Trapani si decise di effettuare lo sbarco dei Mille (Marsala) e già questo nome (Marsala) dovrebe far saltare sulla sedia i più attenti. Il vino Marsala era una importantissima attività commerciale degli inglesi residenti in Sicilia prima dell’unità, che avevano nella provincia di Trapani la loro base principale (tuttora esiste la fondazione Whitetaker a Mozia).
2) Dalla Chiesa: ecco che ci avviciniamo a quelli che (secondo me…) furono i motivi che portarono al suo trasferimento in Sicilia e poi…
3) Michele Papa e Gheddafi: Michele Papa (catanese) era un esponente importante dell’indipendentismo siciliano del dopoguerra. Alla fine della lotta armata emigrò in Libia e si convertì all’Islam. Molte interessanti notizie si possono trovare nel suo libro “Storia dell’EVIS” (l’EVIS era il braccio armato del MIS, il Movimento per l’Indipendenza Siciliana, ed era guidato dal rivoluzionario comunista Canepa). Nel MIS sicuramente erano presenti massoni (il leader Finocchiaro-Aprile era in odore di massoneria) ma certamente il MIS non era in sè una operazione massonica e non era appoggiato dalla mafia, come normalmente si dice (l’indipendenza della Sicilia avrebbe significato la fine della mafia, e chi ha orecchie per intendere intenda…).
Che ci fossero dei legami tra i servizi segreti italiani e la Libia mi sembra logico e lo stesso Papa avrebbe potuto gestire alcuni di quei contatti. Ma non credo Papa fosse egli stesso massone (e men che mai mafioso).
Sarebbe interessante investigare su questi legami…
Abate Vella
7 Marzo 2008 @ 18:44
Un errore nel commento di prima: il nome della fondazione che cito è Whitaker e la sede è a Palermo. A Mozia i Whitaker avevano la casa ed iniziarono gli scavi archeologici.
Anonimo
7 Marzo 2008 @ 18:59
Francamente, trovo vergognoso tutto ciò che viene detto in questo sito.
La verità su Moro oramai è stata accertata da atti della commissione di inchiesta e da ben 7 (SETTE!!!!) processi, dal Moro uno al Moro septies.
Ed è solo la vostra ignoranza che vi fa parlare così.
D’altronde da un sito che loda nientemeno che un complottista come il senatore Flamigni, noto comunista, non ci poteva aspettare nient’altro.
Moro si suicidò.
E per uscire di scena alla grande si suicidò organizzando quella pietosa messinscena delle Brigate rosse.
Come oramai è acclarato che si suicidò anche Falcone, che infatti era depresso.
E la scorta si suicidò con lui perchè erano tutti depressi e si misero d’accordo per morire tutti insieme e risparmiare i soldi degli psicofarmaci e delle corde per dividersi le spese.
Inoltre è chiaro che Abate vella è nient’altro che Paolo Franceschetti in incognito che si firma i messaggi da solo.
Infatti Paolo Franceschetti dice sempre di essere buddista. Buddista = monaco = abate.
Se poi prendete la quarta lettera della parola Paolo, è la elle. Mentre la seconda è la a e quinta di frnaceschetti è la e. Si ottiene ella. basta aggiungere una v ed ecco che si ottiene Vella.
Quindi abate vella e franceschetti sono la stessa persona.
Vergognatevi. Complottisti!!!
Anonimo
7 Marzo 2008 @ 19:55
“DOVEVA MORIRE” (chiarelettere)
Un magistrato e un giornalista tornano dopo 30 anni sul caso Moro, scoprendo inediti scenari e raccontando la storia dei 55 giorni che vanno dalla strage di via Fani alla morte del presidente democristiano. In sette occasioni Moro poteva essere salvato, ma nelle stanze del potere qualcuno tramò invece perché venisse ucciso. Ordini di cattura bloccati, i collegamenti provati con la RAF, il ruolo di Cossiga, i verbali del Comitato di crisi nascosti per lungo tempo. Trent’anni dopo, uno dei magistrati più impegnati a dipanare gli infiniti misteri del caso, ripercorre i meandri dell’inchiesta che lui stesso cominciò nove giorni dopo la morte dello statista e, ricollocando la sua esperienza in un contesto più ampio di avvenimenti, offre testimonianze e rivelazioni decisive. Se ad assassinare il presidente furono le Br, i mandanti vanno cercati altrove. Bugie, omissioni, depistaggi, come la scoperta da parte dell’Ucigos della prigione di Moro tenuta nascosta alla magistratura. Imposimato racconta chi c’era, chi sapeva. Ma chi muoveva i fili dei tre comitati di crisi del Viminale, pieni di uomini della P2? Quella di Aldo Moro fu una morte voluta da troppe persone e troppe fazioni, in lotta tra loro.
Solange Manfredi
7 Marzo 2008 @ 20:48
Grazie Abate, i tuoi “dettagli” sono sempre preziosi.
Mi hanno segnalato il libro di Imposimato, ma non l’ho ancora trovato in libreria…spero arrivi a breve sono proprio curiosa.
Un saluto
Marco Bove
7 Marzo 2008 @ 21:48
Dott.sa Manfredi ho letto con interesse il suo articolo.
Soprattutto gli estratti degli articoli di Mino Pecorelli che finalmente ho visto come scriveva.
Mi vengono i brividi a pensare che il presidente DC venne condannato a morte dai suoi stessi colleghi di partito.
La domanda è perchè?
Perchè stava lavorando per creare un governo delle larghe intese con PCI e MSI?
Almirante e Berlinguer avevano incominciato un dialogo proprio grazie a Moro…
Del resto Corrado Guerzoni un stretto collaboratore di Moro, a RAISAT (mi pare) il 5 Luglio 2005 disse che Moro gli confidà che pensava ci fossero infiltrazioni di CIA e MOSSAD all’interno delle BR.
POi mi pare incredibile che sia Dalla Chiesa(/mio concittadino) e Pecorelli sono morti!
E poi i tre comitati istituiti da Cossiga erano composti tutti da piduisti!
Cose che non riesco a capacitarmi…
Il libro di Imposimato e Provissionato l’ho letto… agghiacciante.
Veramente agghiacciante.
Signori voi avete visto “Piazza delle Cinque Lune”?
Dov’è finito il Memoriale Moro?
——————————-
All’anonimo che pensa di essere l’unico portatore della verità, Le posso solo dire questo.
“Moro era il prezzo che l’Italia doveva pagare.”
J.Monti
8 Marzo 2008 @ 1:32
Mi sembra ci fosse almeno un testimone per la presenza di Moro in Via Fani… where did you get that?
Quello di Via Fani era un commando militare, sono anni che non ho dubbi a riguardo. Ma che dire della nebbia che aleggia intorno a tutti quegli eventi che contano?
D’altronde c’è ancora chi crede che quei fascisti di Moretti e ‘frate Mitra’ fossero comunisti. Da spanciarsi dalle risate!
Solo andando a scavare più a fondo comunismo e fascismo diventano una cosa sola: quando chi comanda necessita di folle di plebei e montagne di schiavi, e ideologie come religioni. Fedeli, mansueti e soprattutto ciechi, o semplicementi distratti vitanaturaldurante. We’re so easily fooled.
Giorgio Mattiuzzo
8 Marzo 2008 @ 8:15
è plausibile che il caso Moro sia stato pensato, progettato, attuato da un gruppo di brigatisti (manovalanza di piazza) che si addestravano nel giardino di una villa di Velletri senza neanche i proiettili?
E perché no, cara Solange? Se dieci arabi cocainomani hanno preso quattro aerei per la prima volta nella loro vita e volando a vista hanno raggirato la più grande potenza militare della storia, e dopo essersi schiantati, sono SOPRAVVISSUTI, i goffi brigatisti mi paiono più plausibili.
Se in Inghilterra i terroristi cattivi fanno le bombe con la farina ed il gatorade, perché i nostri terroristi non possono aver fatto quello che hanno fatto?
Orsù Solange, lei manca di fede. La fede e la devozione necessarie a mantenere in vita quel meravoglioso organismo che è l’organismo sociale.
Penitenziagisca!
Solange Manfredi
8 Marzo 2008 @ 10:06
Dott. Bove,
Lei pensa veramente che Moro sia stato condannato a morte da uomini del suo stesso partito? Io no. Ritengo, ma è una mia ipotesi, che gli uomini di partito siano lì come esecutori di ordini di persone più in alto.
Non credo neanche che ciò sia accaduto perché lavorava per creare un governo dalle larghe intese. Io credo che chi comanda (e, come ho già detto, a parer mio non sono i politici) decida cosa far credere al popolo. Uno degli strumenti migliori per tenere sotto scacco un popolo è la paura: ieri del terrorismo comunista oggi del terrorismo di al-Qaeda. Chissà se, come è successo per le stragi e gli omicidi in passato attribuiti, grazie ai depistagli dello Stato, agli estremisti di sinistra (che poi dopo decenni si è scoperto essere stati attuati dalla destra) oggi non si scopra che al-qaeda in realtà è un nostro alleato. La cosa più importante è tenere la popolazione nella costante paura. Si possono far accettare anche le cose più ingiuste alla società se si riesce a manovrare le opinioni sull’onda emotiva magari di qualche strage creata ad hoc. Cia, mossad, KGB? Concordo con Monti: quando si va a scavare più a fondo ci si accorge che …il teatrino è stato allestito per il popolo.
Piazza delle cinque lune è un bellissimo film, tratto dai libri del Senatore Flamigni, che non a caso non viene mai trasmesso.
Il memoriale Moro è sono un documento in più in mano ai pochi che possono usarlo come strumento di ricatto.
Per J. Monti.
Si, ma il testimone non ha visto Moro, ha visto una persona in impermeabile che aveva la corporatura di Moro, cosa ben diversa.
Purtroppo la disinformazione condiziona la popolazione. Ancora oggi vi sono persone che sono convinte che Piazza Fontana sia una strage di sinistra o che la strage del Moby Prince sia stata causata dalla disattenzione dell’equipaggio intento a guardare una partita di calcio alla Tv. Purtroppo la popolazione crede ancora a quello che gli organi di informazione dicono. Come ho detto la dinformazione è un importante strumento di potere.
Per Giorgio Mattiuzzo
E’ vero, purtroppo i centri di potere si sono resi conto che siamo capaci di credere a qualsiasi cosa….quindi perché non approfittarne? In attesa della prossima bufala la saluto.
Anonimo
8 Marzo 2008 @ 15:17
X solange
Il sistema è sempre lo stesso2
http://fabiopiselli.blogspot.com/2008/03/adesso-basta-denuncio-quanto-segue.html
Anonimo
8 Marzo 2008 @ 15:33
http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=55360
CIA E MOSSAD NELLE BR…
Solange Manfredi
8 Marzo 2008 @ 16:16
Per anonimo.
E si, il meccanismo è sempre lo stesso! E’ triste abitare in un paese dove l’unica difesa possile appare (od è) quella di rendere pubblica una situazione….nella speranza di restare vivi.
Antonio
10 Marzo 2008 @ 14:29
Non so cosa è potutto succedere in quei 55 giorni. E non so se i mananti di Moro siano stati politici o quant’altro. Una cosa è certa: su questioni di questa rilevanza, su temi di importanza fondamentale, e su aspetti di interesse comune è NON CIVILE apporre il segreto di Stato (esattamente come venne apposto per la strage di Portella della Ginestra, e per tanti altri fatti di rilievo). Il segreto di Stato è uno strumento feudale, antidemocratico ed è un indice di paura e cospirazione. Se un qualche senso può avere per garantire una certa posizione nei rapporti internazionali, non ha senso per quel che attiene fatti di rilevanza interna.
Anonimo
14 Marzo 2008 @ 15:04
La teoria del doppio ostaggio mi ha sempre interessata; non sono molto convinto su via Fani ma su Via Montalcini ho delle opinioni forti al limite della certezza.
La differenza di orario della morte,
le condizioni del cadavere.
l’impossibilità di lavarsi in uno stanzino
le condizioni dei vestiti
fanno pensare ad un’altra sede di prigionia.
Ma allora chi era ostaggio in via Montalcini?
Un doppione?
Solange Manfredi
14 Marzo 2008 @ 17:25
Personalmente non credo che in via Montalcini ci sia stato un ostaggio, nè tanto meno Moro. Ritengo che Moro sia stato tenuto in una casa con giardino vicino Roma. Aveva camera, bagno, scrivania e possibilità di passeggiare.
Un saluto
Anonimo
14 Marzo 2008 @ 20:50
Anche le R4 erano due, ambedue provenienti dal quartiere Prati.
Una pulita di autolavaggio è sparita, l’altra sporca di cascami di tessuti è stata ritrovata.
Due auto = due realtà.
Anonimo
25 Marzo 2008 @ 22:59
commento a Moro, in via Fani non era in auto–>
Plausibile perchè le armi della scorta erano nel bagagliaio non al seguito dei passeggeri.
corrado
11 Aprile 2008 @ 8:37
Ottima ricostruzione dei tanti tasselli del puzzle (il disegno completo non lo scopriremo mai a meno che il Gran Capo non confessi la verità).
Ero sicuro che l’omicidio Moro fosse stato organizzato dai servizi segreti pilotando le Brigate Rosse (come d’altronde probabilmente tutti gli atti di terrorismo “rosso” e “nero”), alcuni dettagli li conoscevo già, una conferma me l’aveva data anche la lettura di un libro autobiografico di uno dei brigatisti coinvolti nella faccenda.
Ma questo articolo mostra qualcosa di piu’: ovvero come tantissimi particolari fossero noti a tutti (quelli che volevano sapere, e quindi giornalisti ed inquirenti) e come siano riusciti benissimo nell’intento di camuffare la realtà imbastendo un castello di menzogne a cui tutti gli italiani hanno creduto.
grazie per questo sapiente e certosino lavoro di decostruzione della menzogna
Anonimo
27 Maggio 2008 @ 9:29
All’anonimo del 7 marzo 2008 19.59 che ci dice di vergognarci: vergognati tu, pusillanime e schiavo!
Anonimo
30 Gennaio 2011 @ 17:38
Valerio Morucci, un ex brigatista rosso che fece parte del nucleo che sequestrò Moro e uccise la scorta del presidente della Dc, ha dato esaurienti risposte – considerate del tutto attendibili – ai “misteri” del caso Moro.
Leggete il testo che si trova al sequente link: http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno22.htm
(Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi; 22ª SEDUTA; MERCOLEDI’ 18 GIUGNO 1997; Presidenza del Presidente PELLEGRINO)
Anonimo
18 Maggio 2012 @ 22:14
Se non credi che Moro fu ucciso dalle BR mi vuoi dire chi uccise Marco Biagi e D'Antona?
Anonimo
6 Settembre 2012 @ 11:52
Negli ultimi giorni del suo sequestro, Moro fu tenuto prigioniero in uno dei due magazzini di stoffe interni a palazzo Caetani. Le ampie tracce di stoffe (non consumate) sulle ruote della R4 e sull'abito e le suole delle scarpe di Moro, dimostrano che Moro non poteva trovarsi nel covo di Via Montalcini (molto distante da Via Caetani)ma in una collocazione estremamente vicina al luogo del ritrovamento. Una volta ucciso, la R4 col corpo dello statista ha fatto poche decine di metri ed è stata parcheggiata in Via Caetani. Questa è la mia convinzione. Affermazione schematica che trova numerosi elementi nei libri di Sergio Flamigni.
Anonimo
9 Gennaio 2014 @ 21:55
Anch'io sono convinto che Moro non fosse in via Fani e che fosse stato prelevato, del tutto pacificamente, con la scusa di proteggerlo, dopo la messa del mattino. La scorta fu mandata su un altro percorso e fu sterminata sparando a raffica come messa in scena eclatante e per sopprimere i testimoni. Tra l'altro ci fu anche qualche residente che scattò alcune foto dopo l'agguato. Le foto furono sequestrate e distrutte, non se ne seppe più nulla. Moro non fa mai, nelle sue lettere, alcun accenno, neppure alla lontana, alla strage in via Fani e alla sorte degli uomini della sua scorta, ai quali era personalmente ed affettivamente legato.
Anonimo
10 Maggio 2014 @ 14:50
leggete qui e ridete:
https://www.facebook.com/alessandro.pignagnoli.9?ref=ts&fref=ts
Mortacci vostri e dei brigatisti se c'era mussolini
16 Marzo 2018 @ 11:25
Ma secondo il piu’ scemo degli scemi al mondo….. non riesce a capire che senza la complicita’ dello stato non puo’ esistere niente mafia brigate rosse camorra e tutto il resto, lo stato e’ sempre complice di tutto .
Skep
2 Agosto 2018 @ 11:17
Gentile Dottoressa Manfredi ,
mi chiamo Skep (nome d´arte, ma ci tengo molto a esser chiamato così ), e da qualche tempo ho preso a interessarmi del caso Moro. In breve sono arrivato alle stesse conclusioni cui Lei era già giunta nel 2009, data del video su youtube dove L´ho scoperta : cioè che Moro in via Fani non poteva assolutamente esserci – a meno che lo volessero prendere morto e non vivo.
Se dunque, come Lei conclude logicamente, Moro fu rapito prima, tra casa sua e via Fani, forse in chiesa, allora era stato separato dalla scorta con una scusa che gli deve essere apparsa plausibile, perché comunicata da qualcuno che conosceva e di cui si fidava : un improvviso cambio nell´ordine di servizio della scorta non sarebbe stato altrimenti accettabile. Forse tale cambio, consistente nel mandar via la scorta da sola lungo via Fani , con Moro affidato a un´altra ( falsa e traditrice) scorta, era stato addirittura comunicato segretamente a Moro la sera prima o ancor prima. Altrimenti non si spiegherebbe come tutto fosse pronto per l´agguato in via Fani , i cui esecutori erano certi che la scorta sarebbe passata di là.
La falsa scorta poi probabilmente, consegnò Moro rapito direttamente agli americani, che se lo portarono in qualche base extraterritoriale dove nemmeno un Varisco o un Dalla Chiesa sarebbero potuti entrare.
Ma vorrei proporre alla Sua attenzione critica altri elementi : i fori dei proiettili nei parabrezza che si vedono nelle foto, sono 1 nel parabrezza anteriore della 130, e 3 o 4 in quello posteriore dell´alfetta di scorta : tutti e 4 appaiono frutto di colpi sparati dall´alto – e comunque, di certo non da destra né da sinistra. Ma c´è un altro foro di proiettile che sicuramente proviene dall´alto : sta nel cofano dell´alfetta della scorta : è impossibile per chi spari dal piano strada, forare con tanta efficacia un cofano : a meno che non ci abbiano appoggiato il mitra da sopra, perpendicolarmente, il che è assurdo.
Non è necessaria perizia balistica per rendersi immediatamente conto che cecchini professionisti hanno sparato dall´alto, o da qualche tetto, o finestra/balcone, o da un velivolo. Ve ne dovettero essere almeno 2 : uno da davanti al convoglio, quello che fece il buco nel parabrezza anteriore della 130, sparo che dovette centrare il Ricci alla guida. E un altro, da dietro al convoglio, quello che fece i 3 o 4 buchi nel parabrezza posteriore dell´alfetta di scorta, che dovettero ferire o uccidere Iozzino, Zizzi e Rivera, e che mancò il bersaglio col colpo nel cofano ( in realtà vi è anche un secondo foro nell´angolo di piegatura del cofano, che non può che provenire dall´alto ).
Forse vi erano altri 2 cecchini appostati in alto, ai lati del convoglio. Questi 2 o 4 cecchini militari superprofessionali fecero il grosso della mattanza dall´alto. Poi, a un segnale convenuto, entrarono in azione i finti brigatisti, le cui divise da aviere, se è vera almeno questa parte della vulgata, servivano loro a rendersi ben riconoscibili ai cecchini per evitare friendly fire. A questo punto, a un segnale convenuto, magari tramite walkie-talkie coordinati da camillo guglielmi, i cecchini si eclissano, e i finti brigatisti ( li chiamo finti perché moretti, morucci, lojacono e casimirri almeno, sono tutti agenti di gladio/cia ) si avvicinano alle auto per dare il colpo di grazia ai 5 agenti.
Mi fermo qui, sarei onorato di una Sua opinione critica, e vorrei chiederLe gentilmente se Lei è certa al 100% che la chiesa dove si fermò Moro quella mattina era San Francesco d’Assisi a Monte Mario, in piazza di Monte Gaudio.
Ovvio che anche l´ultima commissione Moro non ha fatto che depistare, e la ricostruzione dell´agguato in 3D è una farsa, dato che omette di indicare le traiettorie dei proiettili dei parabrezza e finge di ignorare completamente il foro del cofano. Tuttavia, anche nella 3D vi sono traiettorie dall´alto verso il basso non spiegate, impossibili da attribuire agli ” avieri “.
La teoria pseudoalternativa che si sia sparato anche da destra è priva di senso, perché gli sparatori da destra e da sinistra si sarebbero ammazzati tra loro.
Soltanto 4 cecchini sparanti dall´alto in basso potevano sparare da 4 direzioni diverse senza correre questo rischio.
La ringrazio dell´attenzione, dell´aiuto e della critica che riterrà di darmi,
cordiali saluti e complimenti per il suo lavoro e le sue brillanti idee,
Skep
PS Se la mia linea di ricerca , che poi in parte coincide con la Sua, Le dovesse interessare, sarei felice , dato che io non ho queste conoscenze, se Lei, che è una giurista e quindi conoscerà periti balistici, potesse chiedere Loro da dove esattamente provennero i colpi sparati dall´alto e che forarono i parabrezza e il cofano. Infatti è estremamente probabile che i cecchini, muniti di fucili di grosso calibro con cannocchiale, siano entrati in azione dopo che la 130 e l´alfetta erano state bloccate allo stop, perché è più facile sparare a un bersaglio immobile che a uno mobile : dunque un balistico può in teoria calcolare il punto esatto dove si trovava il cecchino.