Primavere Arabe: come si destabilizza il Medio Oriente

Tunisia, Egitto, Libia, Siria: rivoluzioni pilotate, con le stesse strategie e finalità

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2. Le prime rivolte nel Nord Africa

Il primo stato che dovette fare i conti con la Rivoluzione Araba fu la Tunisia. Il 17 dicembre 2010 il giovane venditore ambulante Mohammad Bouazizi si suicida per protesta, dandosi fuoco dopo che – questa è la motivazione ufficiale che viene fatta circolare dai media – la polizia gli aveva sequestrato l’intera mercanzia. In breve tempo le manifestazioni si estendono in vari centri e nella capitale Tunisi. Complice il web (in particolare i social network come Facebook e Twitter), le notizie del suicidio di Bouazizi e delle manifestazioni in Tunisia fanno il giro del mondo. Di lì a poco le sommosse si faranno sempre più violente, mietendo decine di vittime. Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, il presidente Ben Alì, contro cui era diretto il malcontento popolare, interviene più volte in tv promettendo lavoro e riforme; dichiara di capire e accogliere le richieste dei manifestanti e si impegna a lasciare il potere nel 2014. Ma nonostante questa apertura di Ben Alì, gli scontri di piazza proseguono. Il 14 gennaio viene proclamato lo stato d’emergenza e il presidente lascia il paese.
Ma davvero le rivolte sono state spontanee? Davvero è bastato così poco, circa un mese di manifestazioni di piazza, per far cadere un presidente che era al potere da 23 anni? La realtà è un po’ diversa: Ben Alì, divenuto presidente della Tunisia nel 1987 grazie a un colpo di stato organizzato con l’aiuto dei servizi segreti internazionali (anche italiani), negli ultimi anni si stava allontanando dalla linea politica di quegli stessi poteri – USA in testa – che l’avevano messo a capo della sua nazione. Ad esempio nel 2009 ha firmato una serie di accordi con la Cina, che così è diventata di fatto il primo partner commerciale della Tunisia tra i paesi non europei. Questo e altri provvedimenti, e in generale l’adozione di scelte politiche non più così allineate, sono probabilmente gli elementi che hanno decretato la defenestrazione di Ben Alì.

Ben presto, nel giro di pochi giorni, le proteste popolari si spostarono dalla Tunisia all’Egitto. Anche in questo caso, ciò che fece accendere le rivolte fu il suicidio di diverse persone che si diedero fuoco proprio come in Tunisia. Il 25 gennaio 2011 si registrano violenti scontri nella capitale egiziana Il Cairo. Il centro della protesta è Piazza Tahrir e le motivazioni sono sempre le stesse: la carenza di lavoro e le misure repressive adottate dal governo. Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenzia il governo e nomina suo vice l’ex capo dei servizi segreti egiziani, Omar Suleyman, e nei giorni successivi gli delega tutti i suoi poteri. In un messaggio televisivo, Mubarak promette riforme e denuncia l’esistenza di un complotto all’origine della protesta. WikiLeaks rende pubblici dei documenti sugli accordi tra gli USA e i capi della rivolta egiziana, in particolare il Movimento 6 Aprile, il quale risulterà avere collegamenti con Canvas, Otpor, Freedom House, USAID e NED: tutte organizzazioni di cui abbiamo parlato nel nostro precedente articolo. L’11 febbraio Suleyman annuncia le dimissioni di Mubarak. Ma le manifestazioni proseguono senza sosta. In seguito si instaurerà una giunta militare, ma il paese rimarrà nel caos e nell’instabilità. Nel 2012 le elezioni presidenziali vengono vinte da Mohamed Morsi, candidato dei Fratelli Musulmani. Nel 2013 un colpo di stato militare destituisce Morsi e al suo posto si insedia Al Sisi, comandante in capo delle forze armate.
Anche riguardo alla rivoluzione egiziana, è il caso di chiedersi se le sommosse siano davvero spontanee o se siano state manovrate. Mubarak era al potere da 30 anni: davvero possiamo credere che un movimento popolare abbia – da solo – la forza di cacciarlo in un paio di settimane, senza l’“aiutino” di qualche potere internazionale? Per dare una risposta a questa domanda, basterebbe seguire tutti i legami tra il principale gruppo di insorti a capo delle proteste (il Movimento 6 Aprile) con le varie ONG che troviamo sempre dietro a tutte le rivoluzioni pilotate. Solo a titolo d’esempio: nel 2009 l’Open Society Institute, ovvero la Fondazione del magnate George Soros, organizzò un workshop al Cairo per addestrare gli attivisti ad eludere la censura del web da parte dei governi. E proprio il web ha un ruolo centrale nell’organizzazione e nella diffusione delle rivolte.

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3 Commenti

  1. Tutto interessante. Sulla Siria ci sarebbe da considerare che rispetto ai tempi dell’articolo, l’Isis le ha prese di brutto, per merito sei russi. Assad da fastidio non perche’ sia o non sia un dittatore, ma percge’ contrasta il progetto di gasdotto caldeggiato da USA e Israele è che allontanerebbe l’Europa dalla dipendenza dalla Russia per il gas. Inoltre la Siria e’ produttrice di petrolio che fa gola si circoli di potere masdo-anglo-sionusti..

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