Rivoluzioni Colorate: come si esporta la democrazia

Chi c'è davvero dietro alle rivolte apparentemente spontanee in Ucraina e in altri paesi dell'Est Europa?

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1. Premessa

Quattro anni fa, il 20 febbraio 2014, mentre erano in corso le rivolte “popolari” (in realtà pilotate) contro il governo ucraino filo-russo e a favore dell’avvicinamento all’Unione Europea, dei cecchini spararono sulla folla a Kiev, uccidendo oltre 80 persone.
Fu una tappa strategica e decisiva, sia per quanto riguarda l’escalation di quei giorni, che culminò in un colpo di stato da parte dell’opposizione, sia per capire i risvolti successivi, comprese la crisi della Crimea e la guerra del Donbass. Fu, insomma, una strage che influì moltissimo sui rapporti con la Russia e sugli equilibri geopolitici in Europa.

Fin da subito l’opposizione e i media ufficiali internazionali accusarono il governo ucraino, affermando con sicurezza che i cecchini che avevano sparato sui manifestanti erano poliziotti delle forze speciali del presidente Janukovic, quando ancora non si sapeva nulla, e anzi c’erano fondati sospetti che i cecchini fossero in realtà agenti assoldati dall’opposizione (e quindi dai poteri internazionali che la sostenevano), allo scopo di creare sempre maggior scompiglio e un pretesto valido per far accettare il golpe pro-UE.

Se nell’informazione mainstream non filtrava niente, nell’informazione alternativa invece molti avevano capito il meccanismo, riportando anche prove, indizi, dichiarazioni. Ora, dopo 4 anni, alcune verità cominciano ad emergere anche a livello ufficiale, seppur in sordina come sempre, e grazie a pochi reporter che fanno vero giornalismo.
Pubblichiamo questo nostro articolo scritto nel settembre del 2014, quindi pochi mesi dopo la strage di Maidan, per capire meglio sia la Rivoluzione Ucraina sia tutte le altre che si inseriscono nel filone delle cosiddette “Rivoluzioni Colorate”: ovvero tutte quelle rivolte apparentemente spontanee, ma in realtà sapientemente orchestrate dagli stessi personaggi e dagli stessi poteri internazionali.

 

 

Nel secolo scorso le rivoluzioni sono state etichettate come rosse o nere, con una precisa connotazione ideologico-politica. Recentemente invece è comparso un altro termine: “rivoluzioni colorate”. Si tratta di un’espressione inventata e utilizzata nell’ultimo decennio dai media internazionali per indicare tutte quelle rivolte (più o meno spontanee, nel nostro articolo vedremo perché) che hanno portato a un cambio di regime, in particolare nei paesi dell’ex Unione Sovietica. “Rivoluzioni colorate” è un’espressione che ispira simpatia e non fa paura; ed è proprio questo l’obiettivo: far sì che l’opinione pubblica parteggi emotivamente per i manifestanti. Le rivoluzioni colorate, a differenza di quelle rosse e nere, non hanno una connotazione ideologica ben precisa; ma la loro caratteristica è di opporsi ai governi filo-russi in carica, ritenuti corrotti e autoritari, e di sostenere le candidature di politici filo-occidentali, legati a doppio filo con i poteri internazionali.

A ognuna di queste rivoluzioni è stato assegnato un colore o un fiore simbolo della protesta, scelti apparentemente in modo spontaneo dai manifestanti. Tuttavia, analizzando i fatti, ci si accorge che sono sempre presenti alcuni tratti comuni. Troppe analogie non possono essere casuali e fanno nascere dei sospetti sulla effettiva spontaneità delle rivolte: infatti, come vedremo, tali analogie sono segno di una matrice comune, che ha creato e addestrato i movimenti protagonisti delle proteste, incanalando il malcontento spesso reale ma amplificato dalla propaganda.

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